È una guerra di religione Pace difficile

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Lucetta

Scaraffia

Pensavamo fosse finita con il terrorismo islamico, per la sua sconfitta in Siria e Iraq ma anche perché la pandemia sembrava avere assorbito ogni tensione, ogni aggressività davanti alla paura del contagio. Invece nella Francia martoriata dal virus nuovi orrendi attentati ci fanno capire che non è finita, che la guerra è ancora in corso. E più noi cerchiamo di spiegarla al di fuori del contesto religioso, cioè con tensioni politiche internazionali abilmente governate – che ci sono, il caso Erdogan lo conferma – più le circostanze ci riportano alla religione. La cattedrale di Nizza è questa volta il luogo sacro profanato da atroci omicidi, atto più vicino ai sacrifici umani che al terrorismo.

Tutto questo avviene pochi giorni dopo che papa Francesco, nell’enciclica "Fratelli tutti", ha cercato di provare che esiste un dialogo ben avviato con il mondo islamico. La prima cosa che viene da pensare è che per la pace bisogna essere in due, mentre per la guerra basta uno. Gli interlocutori del Papa – se pure sinceri – sono una minoranza non molto significativa. La pace con l’Islam, assolutamente necessaria, dev’essere frutto di un lavoro lungo e approfondito basato su una migliore conoscenza reciproca che fondi un rispetto vero. Non bastano le buone intenzioni, né frettolosi incontri amichevoli. E soprattutto dobbiamo cercare di capire, insieme, cosa significhi obbedire alle leggi di Dio.