Mercoledì 17 Aprile 2024

Elezioni 2020, Zingaretti avverte gli alleati (e il Pd). Sale pressing per il rimpasto

Il segretario invoca il voto disgiunto alle regionali. E promette: non siamo subalterni, combatteremo per il Mes

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Svolta nell’azione del governo, cui chiede "rigore assoluto" e che – come ha detto il suo vice, Andrea Orlando – si traduce con una parola: rimpasto. Basta con gli attacchi degli "alleati" (M5s e Iv). Appello, mai così netto e aperto, al voto disgiunto rivolto "agli elettori dei partiti alleati" (sempre M5s e Iv) per le Regionali. Infine, ciliegina sulla torta: "Altro che subalterni, combatteremo per il Mes".

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Il segretario dem, Nicola Zingaretti, chiude la Festa nazionale dell’Unità di Modena – davanti a un folto pubblico e al gotha dem – con un discorso forte, imperioso e che ad alcuni appare persino "un po’ disperato". Come quell’autocritica sulla mancata innovazione e quell’invito ai giovani a "prendersi il partito". Il Pd è a un bivio e la leadership di ‘Zinga’ pure: se il risultato delle Regionali sarà un pareggio (3 a 3), che per il Nazareno equivale a una vittoria (la tenuta, oltre che della Toscana ‘rossa’, della Puglia, oltre la Campania), il Pd alzerà la voce e chiederà, a Conte, di imprimere la sua di linea a un governo che, evidentemente, non decolla.

Se, invece, la sconfitta sarà di 4 a 2 o, peggio ancora, di 5 a 1 (con la rovinosa perdita della Toscana), lo stesso primato di Zingaretti dentro il partito potrebbe vacillare, messo a dura prova dai contestatori interni (Bonaccini, Gori) ed esterni (Saviano, le Sardine). Un congresso anticipato, a quel punto, diventerebbe inevitabile. Zingaretti lascerebbe, restando governatore del Lazio, e Orlando ne prenderebbe il testimone candidandosi in sua voce e sfidando sicuramente le minoranze interne ribelli e, forse, lo stesso Bonaccini. Il governo, ovviamente, ne risentirebbe, forse in modo grave, ma il terremoto avrebbe più l’epicentro nel Pd che a Chigi. Ma, almeno per ora, il Pd scaccia i cattivi pensieri e, anzi, da ieri, mette su la ‘faccia feroce’.

Si diceva del rimpasto. Se tre indizi fanno una prova, come diceva Agatha Christie, le uscite prima, giorni fa, di Goffredo Bettini, ideologo del segretario, ieri mattina del vicesegretario, Andrea Orlando, e, a sera, pur se sotto forma di warning agli alleati, di Zingaretti, a quello puntano. Orlando parla apertamente di rimpasto, pur fingendo di non puntare ai posti: "Non si tratta tanto di cambiare questo o quel ministro, ma di aprire una fase nuova. Con chi (fare il rimpasto, ndr) – continua – lo deciderà Conte, ma che si tratti di disporre la squadra in assetto diverso è un’esigenza che deriva da questa fase".

Zingaretti chiude la Festa nazionale dell’Unità a Modena con un comizio che è un indubbio successo di affluenza, come tutta la Festa. Bene, premesso che il Pd "è l’unica alternativa all’avanzata della destra, altre non ne ho viste" e chiesto, appunto, agli "elettori delle forze alleate al governo di votarci per fermare le destre", il leader dem mette i piedi nel piatto. "Chiederemo – quasi urla – rigore assoluto al governo che sentiamo nostro e sosteniamo ma ora dovremo dire basta ai troppi se, alle attese e ai ritardi".

Zingaretti ce l’ha sempre con gli alleati ("basta con l’ipocrisia di essere alleati ma in tv fare la parte degli avversari"). Il messaggio è: la pazienza del Pd non è infinita, non tirate troppo la corda, che poi si spezza. Sul referendum dice "avanti con le riforme". Il resto è retorica.

Franceschini plaude convinto: "Indica la via per partito e governo". Conte prenda nota. Per il rimpasto, al netto di Zingaretti (lui e Di Maio potrebbero fare i vicepremier come nello schema del governo gialloverde), si parla di Delrio per il Pd, Boschi per Iv e Brescia per M5s.