Zelensky sulle orme del Che: all’asta la felpa kaki

di Marcella

Cocchi

La felpa di pile color kaki del presidente dell’Ucraina Zelensky è stata venduta all’asta da Christie’s per 105mila euro. Ed è vero – e nobile – che il ricavato andrà ad aumentare la raccolta fondi per gli ucraini, ma la notizia in sè colpisce lo stesso perché, in un certo senso, Zelensky ha superato persino Che Guevara.

L’immagine dell’ex comico diventato il presidente-eroe del popolo invaso dalla Russia ha invaso a sua volta le piazze e i social, i tratti del suo volto sono già immortalati su sfondo giallo-

azzurro. Gli oggetti di Zelensky in vita sono battuti all’asta a guerra ancora in corso, mentre il rivoluzionario argentino che di “mestiere“ scelse di fare il guerrigliero per Cuba diventò un’icona soprattutto da morto. L’immagine del Che, sguardo fiero, basco in testa, zigomi pronunciati, è diventata solo a posteriori la più riprodotta di sempre: sulle t-shirt, sulle bandiere rosse, nei souvenir, rielaborata da artisti come Andy Warhol, usata in un film di Zalone a sfottò dei radical chic di sinistra. Ironia della sorte, Guevara che il capitalismo combatteva ha lasciato in eredità un marchio globale, venerato come un santino.

C’è sempre del feticismo nell’idolatria commerciale di massa. Non si spiegherebbe altrimenti come mai siano stati venduti all’asta un sigaro mezzo fumato e un pezzo della dentiera superiore di Winston Churchill, rispettivamente per 5.200 e 19.200 sterline. Non si capirebbe come mai qualcuno sia stato disposto a spendere 25mila dollari per le sneakers Nike create per Barack Obama, anche queste battute all’asta, da Sotheby’s. Verrebbe da sorridere ricordando che nel 1997 il Cashmere club scrisse così al compagno Bertinotti: "Carissimo onorevole, qualora intendesse cedere il suo prezioso pullover in cashmere, noi saremmo lietissimi di acquistarlo e metterlo all’asta per beneficenza".

Per carità, se è per beneficenza, come nel caso della felpa kaki per l’Ucraina, val bene anche un po’ di idolatria feticista. Scriveva Michael Casey, esperto dell’iconografia del Che: i marchi, i simboli, dall’alba del mondo fanno parte dell’io idealizzato. Suscitano l’indignazione che attinge al desiderio di un mondo migliore. Si vende anche questo.