Mercoledì 24 Aprile 2024

"Era Ignoto 1, gli ho dato un volto. Così ho rivoluzionato le analisi del Dna"

Il genetista che ha risolto il caso Yara Gambirasio: da lì è iniziata una nuova era, non esiste il delitto perfetto. "Vorrei risolvere l’omicidio di via Poma ma non posso: ho assistito Busco. E non gli feci pagare la parcella"

Il genetista forense Emiliano Giardina, 46 anni

Il genetista forense Emiliano Giardina, 46 anni

È l’uomo che ha rivoluzionato le analisi del Dna. Emiliano Giardina, genetista forense e docente all’università di Tor Vergata, ha permesso agli inquirenti di risalire a Massimo Giuseppe Bossetti grazie all’intuizione visionaria di cercare Ignoto 1 tra i figli illegittimi di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999. L’omicidio di Yara Gambirasio – con milioni di euro spesi in anni di indagini e 18mila analisi genetiche – e il seguente ergastolo per Bossetti segnano l’inizio di una nuova era per le tracce biologiche della cronaca nera. "Da quel momento è cambiata la concezione di Dna nell’immaginario collettivo, la gente ha capito l’importanza delle indagini genetiche", spiega il 46enne romano Giardina.

Il Dna di Bossetti nei leggings e nelle mutandine cosa rivela sul tipo di contatto che lui ha avuto con Yara?

"Di fatto nulla, il Dna indica presenza, non responsabilità. Trovarlo in quei punti fornisce, però, una traccia di un contatto intimo e particolare. Ecco, quel materiale non era su un guanto".

Dopo quella indagine avveniristica, unica al mondo, era impossibile assolvere il muratore di Mapello?

"Non credo. I tre gradi processuali rendono difficile l’errore giudiziario e in quel caso non c’era solo il Dna. L’accusa aveva altri elementi".

Qual è il futuro delle indagini investigative scientifiche?

"Da una parte c’è la miniaturizzazione del laboratorio, che consente di fare le analisi genetiche sul campo con super strumenti come il Rapid. Dall’altra la fenotipizzazione del Dna. Fino a oggi il materiale biologico serviva per confermare un’ipotesi investigativa tradizionale, già col caso Yara abbiamo fatto il passo successivo: non ho l’indagato e lo cerco col Dna. Così da una traccia sconosciuta e assente nella Banca dati nazionale possiamo risalire al colore degli occhi, dei capelli, alla statura".

La Banca dati nazionale del Dna quante tracce individuali contiene? Non c’è il rischio di una schedatura generalizzata?

"In quattro anni di operatività si è arrivati a circa 69mila: 42mila di persone note e 27mila di scene del crimine. A chi ha commesso un reato, con una condanna a oltre 3 anni di reclusione, viene prelevato il Dna dalla saliva. Censire tutta la popolazione non ha senso: il 99,9% non compie reati violenti e sarebbe un lavoro dai costi enormi. Eticamente? Le società telefoniche e i social possiedono molti più nostri dati sensibili".

Che cosa deve fare un killer per non lasciare tracce?

"Non commettere il reato: il delitto perfetto non esiste. Di fatto, c’è sempre una traccia e la possibilità di identificare il colpevole. Il 20% dei casi resta irrisolto per sfortuna o incapacità. Ma chi commette un reato ha un motivo che lo lega alla vittima, e in qualche modo vuole lasciare una traccia".

I giudici capiscono le analisi che fate?

"Solo se ci spieghiamo bene e questo non accade sempre. Nel master di Genetica forense che dirigo formiamo il personale della polizia: tutti i tecnici fremono per imparare a fare analisi ed esperimenti in laboratorio. Ma l’arte più difficile è spiegare la complessità con semplicità, perché ci rivolgiamo a persone che non hanno una laurea in Scienze".

Il Dna davvero non sbaglia mai?

"Tutte le tecnologie e le azioni umane hanno un margine di errore: il vantaggio del Dna è che possiamo distinguere, con strumenti di biostatistica avanzata, quando i risultati sono sicuri oppure possibili".

In molti delitti di tanti anni fa la raccolta dati è stata fatta in modo poco preciso. Sono ancora risolvibili quei misteri?

"Sì, la tecnologia permette di trovare tracce infinitesimali. Quelle sono decisive, più di ciò che si vede. Io sono sempre per la riapertura dei cold case ".

Qual è il caso che le piacerebbe risolvere?

"Il delitto di via Poma. Ma non lo potrò mai risolvere perché ho assistito Raniero Busco (ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, ndr ) e non posso più lavorare per la procura. Questo caso e quello di Meredith Kercher non hanno beneficiato della scienza perché accaduti pochi mesi prima del boom".

A quali casi sta lavorando ora?

"Il delitto Nada Cella e altre indagini per le procure di diverse città, sulle quali però non posso riferire particolari".

Nel caso Melania Rea, il Dna di Parolisi c’era...

"Sì, ma quelle tracce biologiche non rientrarono nella condanna: erano altri gli elementi contro l’ex caporale maggiore".

Riuscirete a trovare il killer di Nada Cella?

"La probabilità è bassa, ma non è zero".

Quando lavorò su via Poma disse che i reperti col Dna di Busco erano contaminati.

"Le indagini furono fatte male, non c’era la cultura ‘alla Csi’ che c’è ora. Misero tutti i reperti nello stesso sacchetto. La ricostruzione dei Ris, secondo cui la saliva di Busco era sul reggiseno per un morso, era ardita: erano fidanzati, normale che avessero contatti. Nessuno, infatti, ha stabilito con certezza che quel segno era di un morso e i reperti sono stati a contatto per anni con altre tracce".

Nel caso Schwazer ha incassato una sconfitta: il giudice ha sposato la tesi del complotto.

"Oggi in ogni reperto troviamo del Dna e per garantire l’assenza di manipolazione, alla base delle indagini, esiste la catena di custodia. La difesa sostiene che quella provetta ( in cui c’erano Dna di Schwazer e doping, ndr ) è stata toccata da chiunque. C’è solo un processo nella mia carriera in cui la catena di custodia non è stata garantita, dove si sostiene che le tracce siano state inserite non si sa bene come. Le regole valse per tutti gli imputati questa volta sono state stravolte".

Per la strage della stazione di Bologna le è stato negato di fare il test del Dna sul lembo facciale che si crede di Maria Fresu, il cui corpo non è stato mai trovato.

"Si deve tentare in ogni modo di scoprire la verità. La mia speranza è che lo faccia la procura".

Ha mai legato con qualche imputato?

"Con Raniero Busco e la moglie c’è stato un rapporto molto profondo. Lei era talmente impegnata nel caso che si è messa a studiare i libri diventando una genetista, mi faceva domande così puntuali e profonde che nemmeno i miei collaboratori arrivavano a intuizioni simili. In loro ho visto la devastazione dell’esistenza: ogni volta che entravano nel mio studio li vedevo invecchiati di 10 anni. Non gli ho potuto chiedere l’onorario".