Yara, dieci anni dopo: le indagini e Ignoto 1. "Così siamo arrivati a chi l’ha uccisa"

Bergamo, la 13enne sparì il pomeriggio del 26 novembre 2010. Tre mesi dopo, il suo cadavere venne ritrovato in un campo. Dal furgone alle tracce sul corpo, gli investigatori: la svolta dal Dna che ha portato all’arresto di Bossetti. Poi condannato all’ergastolo

Migration

Voci. I dieci anni trascorsi non hanno spento la carica di emozione e con l’emozione il dolore. E’ la sera del 26 novembre 2010 quando Yara Gambirasio, 13 anni, seconda dei quattro figli di una famiglia di Brembate di Sopra, promessa della ginnastica ritmica, lascia la palestra del centro sportivo di via Locatelli. Fabrizio Francese attende la figlia della compagna. E’ l’ultimo a vedere Yara viva. "Il tempo fa sbiadire i ricordi, ma quello ogni tanto mi torna, molto toccante".

Sono le 18.40-45. Yara fa pochi passi in strada, viene ghermita. "Era – rievoca Massimo Meroni, oggi giudice alla Corte d’appello civile di Milano – il giorno in cui si era pensionato il dottor Galizzi e io ero il procuratore facente funzione di Bergamo. Ci capitavano casi di ragazze scomparse, ma questo ci era parso inquietante da subito. Passavano i giorni, era ormai forte la convinzione che purtroppo non si trattava di una fuga e mi ha fatto molto male sentire i commenti sciocchi di certi politici di fronte all’impegno di tutti, non solo della magistratura e delle forze dell’ordine ma anche della popolazione. Ricordo il fermo del marocchino su una nave. Un episodio molto spiacevole, legato a un errore di traduzione da parte degli interpreti. Se fosse rimasto in Italia, saremmo andati avanti a intercettarlo. Invece stava tornando in Marocco e si è dovuto prendere una decisione. La famiglia Gambirasio è stata ammirevole sotto ogni punto di vista, per compostezza e rispetto del nostro lavoro".

Il 26 febbraio 2011 un campo di Chignolo d’Isola restituisce Yara. Il corpo ha su di sé l’impronta dell’assassino, quello che viene chiamato Ignoto 1. Si arriva a un ceppo familiare, a un nome: Giuseppe Guerinoni, autista di autobus di Gorno, morto nel 1999. E’ lui il padre di Ignoto 1? La procura si rivolge a Emiliano Giardina, genetista forense dell’università romana di Tor Vergata.

Riscontri genetici alla mano, elabora un calcolo statistico: la paternità è certificata al 99, 99999,89%. Ma i figli dell’autista non c’entrano nulla. Rigore scientifico e intuizione visionaria, Giardina lancia una idea: "Allora in giro c’è un figlio illegittimo di Guerinoni". E’ la svolta che porterà all’uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara: Massimo Bossetti. "Il ricordo – dice Giardina – è molto vivo e nutrito di diverse sensazioni. La ricerca scientifica con lo sforzo per cercare di dare un volto a quel Dna. Il risvolto umano. L’emozione che cresceva a ogni momento di avvicinamento alla verità. La consapevolezza che Yara non sarebbe tornata. Ricordo con grande trasporto le riunioni e i tantissimi viaggi da Roma a Bergamo con la polizia scientifica e i carabinieri. E’ stato un momento di grande unione di tutto il sistema delle indagini".

Il padre è certo. E la madre? In procura a Bergamo opera il tenente Giovanni Mocerino, il più stretto collaboratore del pm Letizia Ruggeri. Per mesi e mesi si sposta nelle valli che l’hanno visto giovane e stimato carabiniere. Una parola, un incontro, un caffè. Guerinoni era un ‘bel om’ e non disdegnava le avventure. Esce un nome: Ester Arzuffi. Il 28 ottobre 1970 ha dato alla luce due gemelli, Laura Letizia e Massimo Bossetti. "Il mio – ricorda Mocerino – è stato un porta a porta su Gorno. Avevo comandato a Clusone e conoscevo tutti. Ho contattato vecchi sindaci, parroci in pensione, barbieri, un’anziana ostetrica. Ho partecipato a funerali e a feste oratoriane. Ho rintracciato i colleghi di Guerinoni. Gli indizi portavano a una sua conoscenza con questa signora".