Giovedì 18 Aprile 2024

Wojtyla e l’autista della Provvidenza. "Senza di lui non sarebbe diventato papa"

Il 14 ottobre 1978 iniziava il conclave ma il futuro pontefice si trovava al santuario della Mentorella e rimase in panne con l’auto. Candido Nardi, conducente di bus, lo soccorse. Saltò tutte le fermate per fare in tempo. Il figlio: "Due giorni dopo lo riconobbe in tv"

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Roma, 18 ottobre 2020 - "Senza l’aiuto di mio padre, Wojtyla non sarebbe diventato Papa". L’uomo della Provvidenza si chiamava Candido Nardi e indossava la divisa dell’Acotral, il servizio di trasporto pubblico laziale. È scomparso nel 2000. Il 14 ottobre 1978 – il giorno in cui alle 16,30 in Vaticano si apriva il Conclave per la successione a papa Luciani – aveva 43 anni ed era al volante dell’autobus che porta al santuario della Mentorella sui monti Prenestini. Non sapeva di avere un appuntamento con la Storia: era in missione per conto di Dio. "Guidava il pullman che sale verso Guadagnolo. Incrociò quel sacerdote in clergyman che camminava svelto verso Capranica. La corriera arrivò al capolinea, fece una breve sosta, poi imboccò la discesa". A parlare è Pietro Spartaco Nardi, il figlio del conducente. All’epoca aveva 12 anni, ma il racconto sentito mille volte è una memoria che non si cancella.

Che cosa accadde?

"Erano le tre del pomeriggio. Lungo la via trovò di nuovo quel prete, che si voltò sbracciandosi: ferma, ferma, devo arrivare immediatamente in Vaticano. Non parlava bene l’italiano. Mio padre esitava: doveva rispettare il percorso, ma capiva che c’era un’emergenza. Lo fece salire".

Chi c’era sul pullman?

"Solo loro due. Il sacerdote spiegò che aveva voluto rendere omaggio alla Madonna delle Grazie prima di un appuntamento importante. Non disse quale. Viaggiava su un’auto privata, ma il motore si era rotto. L’autista era rimasto lì, lui aveva preferito incamminarsi. Qualcuno mi darà un passaggio, era stata la rassicurazione ai fratelli polacchi del santuario. Ma c’era un sacco di strada e a piedi non ce l’avrebbe mai fatta".

Invece incontrò suo padre.

"Wojtyla tirò fuori i soldi per il biglietto. Candido gli disse di lasciar perdere, l’unico modo per arrivare in tempo era saltare tutte le fermate e sperare di prendere al volo la coincidenza da Palestrina a Roma".

Il passeggero spiegò di essere un cardinale?

"No. Si sedette sulla poltrona accanto al guidatore, tirò fuori il rosario e cominciò a pregare".

E così Candido partì?

"Gli chiese se avesse paura della velocità. L’altro lo guardò: vada più forte che può, fu la risposta".

Venti chilometri in 17 minuti: quasi un record.

"È un percorso tutto curve. Il pullman si fermò nel piazzale di Palestrina mentre arrivava la coincidenza per Roma. Il sacerdote ringraziò e scese di corsa".

Fine della storia?

"Un episodio insignificante. Tanto che mio padre a cena non ne parlò neppure".

Senonché?

"Senonché due giorni dopo tutta la famiglia si ritrovò davanti alla tv. Siamo cattolici praticanti, assidui della Mentorella: dal Conclave era uscita la fumata bianca e aspettavamo che il nuovo Papa si affacciasse al balcone di piazza San Pietro. Era il 16 ottobre 1978".

Vada avanti.

"Inquadrarono il volto del Pontefice e mio padre scattò in piedi: ma quello è l’uomo che ho portato a Palestrina sul bus, urlò. Così ci ha raccontato la storia del passaggio al prete in panne".

E voi?

"Mia madre continuava a ripetere: Candido non è possibile, ti stai sbagliando. Invece era lui, era Karol Wojtyla, era il Santo Padre".

Un passo indietro. Alla vigilia del Conclave chiamato a scegliere il successore di papa Luciani nessuno pronosticava il cardinale polacco di 58 anni. I bookmaker lo davano uno a mille. I giornali non avevano preconfezionato la sua biografia. La contrapposizione nel blocco italiano tra Benelli e Siri aveva creato uno stallo: dopo tre fumate nere i voti confluirono su Wojtyla. Alcuni porporati ignoravano chi fosse. "Chi è questo Botiglia", chiese storpiando il nome il cardinale guatemalteco Casariego, avanti con l’età. Karol era entrato nella cappella Sistina per un soffio e si ritrovava sul soglio di Pietro. Ma perché recarsi alla Mentorella? Per lui era un luogo speciale. Ci tornò per ringraziare la Madonna nel primo viaggio pastorale, 13 giorni dopo l’investitura papale. "Amo salire su questi monti – aveva sottolineato – per raggiungere l’amato santuario. Lassù mi sono sempre sentito più vicino a Dio".

Torniamo a Candido. Come reagì a quell’evento così sorprendente?

"Fu uno choc collettivo. La notizia si sparse in paese, tutti volevano farsi raccontare il fatto da lui. Fu costretto ad andarsene da suo fratello a Carpineto Romano: eravamo assediati".

Poi le acque si calmarono. Perché suo padre decise di spedire una lettera in Vaticano?

"Lo convinse il vescovo. Scrisse che era onorato di aver servito il futuro Papa, con il poco che aveva fatto. Era un tipo schivo e quella era una cosa molto più grande di lui. Avevo un compito e l’ho assolto, sussurrava. Poi rifletteva: sarebbe bastato un intoppo qualsiasi, cinque minuti di ritardo... Gli pareva di aver vissuto un sogno".

Il Papa rispose?

"La lettera di Giovanni Paolo II è in cornice a casa nostra. C’è scritto: ’Sua Santità ringrazia ancora la Signoria Vostra per la cortese attenzione a Lui riservata mentre devotamente si recava in pellegrinaggio al Santuario Mariano della Mentorella’".

Candido rivide il Papa?

"Due volte. La prima fu a un’udienza pubblica, in Sala Nervi nel 1980. Il Pontefice gli impartì la comunione. C’eravamo io e mia madre, fu molto emozionante".

E la seconda?

"Giovanni Paolo II si fermò a Palestrina nell’83 prima di salire alla Mentorella. Ebbe una serie di incontri, poi ricevette mio padre in una stanza della diocesi. Restarono a parlare un’ora a quattr’occhi".

Che cosa si dissero?

"Candido lo tenne per sé, nel suo cuore. Smozzicò solo una frase: ’Il Papa mi ha detto che avevo fatto una cosa importante e che me ne sarei reso conto solo in futuro’".

Una rivelazione?

"Credo di sì. Dopo il faccia a faccia era diverso, qualcosa l’aveva colpito profondamente. Ho un ricordo particolare in tal senso".

Quale?

"Quando cadde il Muro di Berlino commentò: non è ancora nulla, è solo un sassolino. Come se sapesse cose che non voleva comunicare. A noi vennero i brividi. Già in precedenza un altro episodio ci aveva turbato".

Lo racconta?

"Avevo 18 anni e dovevo portare mamma e nonna in macchina da Palestrina a Zagarolo. Ebbi un presentimento, non mi sentii di guidare. Arrivò mio padre smontato dal servizio. Fatti cento metri sbucò dal nulla una donna che attraversava la strada di corsa, non so come riuscì a evitarla. Eravamo bianchi come cenci. Candido disse: ci ha aiutato una mano amica".

Dopo quei due incontri nessun contatto tra lui e il Papa?

"No. Ma Giovanni Paolo II è andato tante volte in incognito al santuario. Sentivamo le pale dell’elicottero sorvolare la nostra casa, che è sulla direttrice della Mentorella. Correvamo alla finestra a vederlo".

È stato una presenza costante nelle vostre vite?

"Mio padre morì nel 2000, cinque anni prima del Pontefice. Pensava di aver preso parte a un disegno provvidenziale. Mi ha stupito che il postulatore, nel processo di canonizzazione, non abbia ricostruito l’episodio sentendo me o mio fratello. Ma non ha molta importanza: Wojtyla è stato per tutti santo subito".