WhatsApp cambia le regole della privacy. Fuga di massa verso la rivale Signal

Dall’8 febbraio verranno condivisi più dati personali con Facebook per spingere le pubblicità. Boom di passaggi anche a Telegram

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La guerra della privacy sulle app di messaggistica istantanea è una mezza bufala per l’Italia e l’Europa, ma è vissuta in America come un vero e proprio O.K. Corral: WhatsApp – leader con due miliardi di iscritti – è sfidata a duello da Signal e Telegram. L’8 febbraio scatterà per la app fondata nel 2009 da Jan Koum e Brian Acton un cambiamento significativo in merito alla privacy: molti più dati personali saranno resi disponibili alla casa madre e ciò sta mettendo in subbuglio gli utenti, chiamati ad accettare le modifiche o abbandonare la app. Facebook – che ha acquistato WhatsApp nel 2014 per 19 miliardi di dollari – vuole allargare le proprie ingerenze, mettendo in campo la forza che ha: Marc Zuckerberg possiede pure Messenger e Instagram e ha detto chiaramente che anche se si dice no a WhatsApp si è sottoposti a questo "controllo" attraverso le altre applicazioni.

Ma tutto ciò non vale per l’Unione Europea, compresi Regno Unito (ora uscito) e Svizzera (mai entrata): la rete di protezione adottata nel maggio 2018, la Gdpr, non è in discussione essendo diversi i regolatori: non la WhatsApp Inc., ma la WhatsApp Ireland Limited, con sede a Dublino, che ha gestito il rapporto direttamente con la Commissione europea. Questo significa che rispondere o no al messaggio "accetto" che compare sugli smartphone dei whatsappini – ma sempre di più anche su quelli degli utilizzatori dei diversi servizi internet – non cambia, per il momento, nulla. Se Zuckerberg vorrà salvare sul proprio server le conversazioni e scoprire tutte le nostre abitudini per venderci più facilmente qualsiasi cosa, dovrà cercare un nuovo accordo.

Ma è bastato un dubbio per scatenare la paura di un’incontrollata divulgazione dei nostri dati personali, che è poi il desiderio di Zuckerberg. L’esempio del 2016 di Cambridge Analytica, entrata prepotentemente nella campagna elettorale americana grazie ai dati forniti dal social più famoso, è davanti ai nostri occhi. E così, corroborato da testimoni vip, è venuto fuori che passare a Signal – fondazione e non azienda privata – è più sicuro, la crittografia end-to-end non sarà mai svelata e nessun server saprà mai con chi abbiamo scambiato messaggi. Negli Usa Signal ha incrementato così tanto le registrazioni che il sito è andato in tilt.

Alla base le "dichiarazioni d’amore" di persone molto distanti fra loro: Elon Musk, patron di Tesla e l’uomo più ricco al mondo, ha scritto su Twitter due parole: "Use Signal", informando i suoi contatti che da febbraio chatterà sulla nuova app abbandonando la precedente (ma con Facebook e Instagram che cosa farà?). L’altro è Edward Snowden, informatico ex Cia e Nsa legato ad Assange e ora in Russia: "Uso Signal ogni giorno". L’endorsement alla creazione (2014) del crittografo Moxie Marlinspike viene anche dal Ceo di Twitter, Jack Dorsey, che sottolinea come sia "finanziato interamente da sovvenzioni e donazioni". Un aiuto consistente alla Fondazione Signal è stato versato nel 2018 da uno dei fondatori di WhatsApp, Acton, entrato nel patrimonio sociale con 50 milioni di dollari che hanno permesso allora a Signal il salvataggio e uno sviluppo che sembrava impossibile.

Ma chi gode ancor più della stretta impressa da Zuckerberg a Whatsapp è Telegram, il software inventato nel 2013 dai fratelli russi Pavel e Nikolaj Durov, che hanno scelto Dubai come sede della società. Fino a una settimana fa Telegram aveva 500 milioni di utenti, solo nelle ultime 72 ore se ne sono aggiunti altri 25 milioni e la curva esponenziale non sembra fermarsi. Con buona pace per Pavel che ha comunicato che dal 20 gennaio la messaggistica sarà invasa da pubblicità "perché i costi di gestione sono troppo alti". Un modo per pagare la privacy. Per ora noi ne siamo fuori.