"Voglio tornare a fare l’infermiera" La libertà ritrovata dopo 8 sentenze

Daniela Poggiali, 48 anni, e la doppia assoluzione in Appello. "Sono stata radiata, ma è il lavoro che so fare"

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di Lorenzo Priviato

Il giorno dopo la liberazione dalla seconda carcerazione della sua vita, Daniela Poggiali, 49 anni, vuole progettare il suo futuro. "Adesso voglio pensare un po’ a me stessa, godermi la mia famiglia e vivere alla giornata. Dedicarmi alle piccole cose della quotidianità che, quando la libertà ti viene tolta ingiustamente, ti mancano e solo a quel punto ne riconosci l’importanza. Poi mi piacerebbe, un domani, tornare a fare il mio lavoro di infermiera. È una cosa che so fare bene, credo che potrei ancora dare tanto. Non necessariamente con gli anziani".

È tornata nella sua casa di Lugo insieme al compagno, Luigi Conficconi. Mancava dalla vigilia dello scorso Natale, quando venne arrestata per la seconda volta. La prima, nel 2014, la custodia cautelare era durata oltre mille giorni. Lunedì la Corte di assise di appello di Bologna l’ha assolta ancora, due volte in un solo giorno dall’accusa di aver commesso altrettanti omicidi, di anziani pazienti ricoverati e morti nell’ospedale di Lugo di Romagna. Rosa Calderoni, 78 anni, per l’accusa assassinata con iniezione di potassio e Massimo Montanari, 94. "Ero serena – è distesa Daniela Poggiali – pensavo che dovesse finire così, da sette anni proclamavo la mia innocenza. Cosa voglio dire ai parenti delle vittime? Che mi dispiace che abbiano dovuto affrontare questa vicenda paradossale, ma il peso più grosso l’ho portato io".

Poggiali è stata però radiata dall’albo a fine 2020 per le ormai famigerate foto scattate, nel 2014, di fianco a una centenaria appena morta, lei sorridente e con i pollici alzati, in una stanza dell’ospedale. Potrebbe, in teoria, chiedere di essere riammessa fra cinque anni. "Mi sono pentita, ovviamente non lo rifarei. L’ho detto più volte, ho commesso uno sbaglio nella vita e per quello ho pagato col licenziamento. Ma ho pagato più del dovuto, perché da lì è partita la raffigurazione del mostro e del serial killer che non sono: lo dicono quattro assoluzioni".

Uscita lunedì sera dal carcere di Forlì, passata una notte con poco sonno, è ancora euforica dall’udienza: "Mi sento bene, sono stata nella mia famiglia. Mi sto riappropriando pian piano della mia libertà e di quel sapore incredibile che ha la libertà dopo più di dieci mesi chiusa in un carcere". Per i magistrati, che in questi anni l’hanno accusata e giudicata, disponendo perizie medico-legali e di recente anche una statistico-forense sull’aumento dei morti in corsia durante i turni di Poggiali, l’ex infermiera ha un messaggio: "Ringrazio sempre la buona giustizia. Ho avuto modo di tastarla a Bologna, di averne una prova. Mi dispiace solo che se questa vicenda fosse stata gestita in maniera diversa dall’Asl e dalla Procura di Ravenna a quest’ora non sarei stata dipinta come il serial killer e forse non sarei neanche finita a processo in tribunale". Però, "confido sempre nella buona giustizia e quindi confido che il giudice faccia delle buone motivazioni, affinché si possa mettere fine a questa vicenda".

Il percorso infatti non è ancora concluso, anche se le due sentenze arrivate ieri in contemporanea sono una grossa pietra sulla strada per dimostrarne la colpevolezza. Per il caso di Rosa Calderoni si era arrivati a un non consueto appello ter, dopo una condanna all’ergastolo in primo grado a Ravenna, due assoluzioni in appello a Bologna seguite da due annullamenti della Cassazione. Tre assoluzioni (in totale la Poggiali ha affrontato otto sentenze) potrebbero anche essere considerate sufficienti per porre più di un ragionevole dubbio sulla responsabilità dell’imputata. La Procura generale di Bologna, che ha insistito a chiedere la condanna e potrebbe in teoria impugnare ancora, al momento non si esprime sulle proprie intenzioni. E Poggiali commenta così: "Un altro ricorso in Cassazione? Mi auguro proprio di no. Gli argomenti affrontati tornano sempre a nostro favore".