Mercoledì 24 Aprile 2024

Cascina esplosa nell'Alessandrino. Nino, Marco e Matteo: il sacrificio degli eroi

Appassionati di fotografia, motociclismo e calcio. L’uniforme, sogno di una vita dopo difficoltà e precariato

Marco, Nino e Matteo

Marco, Nino e Matteo

Quargnento, (Alessandria) 6 novembre 2019 - Nino, Marco e Matteo. Quando da bambini dovevano rispondere alla fatidica domanda (cosa vuoi fare da grande?) rispondevano: i pompieri. Gli eroi no. E nemmeno le vittime del dovere. Erano ragazzi pieni di sogni, passioni e qualche tatuaggio. "Quando si muore così, senza aver salvato delle vite umane, fa ancora più male – riflette il capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, Fabio Dattilo –. Il nostro è un lavoro a rischio, lo sappiamo. Però se rischi la vita per salvare quella di qualcun altro, un incidente lo digerisci meglio. Se muori per niente allora è insopportabile". Ma è solo la prospettiva di chi resta.

Antonio (Nino) Candido, 32 anni, credeva che qualcosa da salvare ci fosse e per questo aveva seguito le orme di suo padre. Originario di Reggio Calabria, sposato da un anno e da poco arrivato ad Alessandria, il più giovane dei tre amava i tatuaggi, il basket, i viaggi e i suoi due pittbull. "Mi ha salvato la vita" diceva della moglie su Instagram.

"Riposa guerriero" scrive un collega sul profilo di Marco Triches, 38 anni, sposato con Clarissa e papà di Francesco, tre anni, un fratello nella polizia stradale. L’Alessandria Rugby e i Barberans lo ricordano: "Ciao Marco. Hai passato la palla. Eri un pompiere. Eri un rugbista. Più coraggioso di così". Faceva anche l’attore nella ‘compagnia degli illegali’ che aveva fondato con amici. Non aveva esitato a partire per Arquata del Tronto nei giorni del terremoto: tutto documentato da fotografie struggenti. Gianluca Barbero, sindaco di Valenza, lo ricorda come un figlio: "È andato incontro al suo destino col senso del dovere di chi opera in silenzio per il bene di tutti. Uno dei tanti che sposano la comunità per lavoro e per amore e che diventano la parte migliore di noi. Oggi non può essere un buon giorno, non esiste un balsamo per certe ferite".

Matteo Gastaldo, 46 anni, una figlia di 9, era all’altro capo della corda stretta da Marco quando decisero che per salvare una donna dal tentato suicidio era necessario calarsi in un pozzo. Toccò a lui, ma anche al contrario non avrebbe fatto nessuna differenza. Adorava andare in bicicletta, tifava ostinatamente Toro. Aveva occhi azzurri bellissimi. Lo conoscevano tutti perché la sua famiglia possiede a Gavi un locale che porta il suo nome, gestito dal fratello Alberto. I nonni avevano fondato nel 1946 il bar Matteo, uno dei principali punti di ritrovo di Gavi, famoso per il gelato Moretto. All’inizio si era lasciato tentare dalla tradizione di casa studiando all'alberghiero Artusi, poi aveva seguito il suo sogno e dopo anni di precariato l’anno scorso era diventato vigile del fuoco. "Orgoglioso del proprio lavoro e fiero di appartenere al corpo" dicono gli amici sconvolti. Eroe e guerriero sono parole impegnative e valgono anche per lui che nelle ore dell’ultima alluvione, nonostante le difficoltà per raggiungere Alessandria dalla Val Lemme, diceva su Facebook: "Sto pensando come andare al lavoro domani alle 8. Sveglia alle 5 e via. Piuttosto a piedi".