Viaggio nel profondo del tempo

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Roberto

Pazzi

No, fotografare il Tempo non era mai capitato. Avevamo raggiunto con i telescopi lontanissime galassie, avevamo scoperto per errore il pianeta Plutone, da una macchiolina di una lente, avevamo avuto il presagio impossibile da esprimere in parole di un mondo fatto di infiniti mondi. Mai però eravamo riusciti a fotografare le fasi anteriori della storia dello Spazio, quelle subito successive al grande bing bang da cui tutto si è formato. In una parola, James Webb ci ha permesso di fotografare il Tempo!

Solo la poesia di Leopardi, L’infinito, sembra capace di cogliere un simile miracolo con i versi "e mi sovvien l’eterno, e le morti stagioni, e la presente e viva". Le morti stagioni del Tempo che abbiamo attraversato per diventare quelli che siamo, appaiono ora in quelle immagini che fissano una cosa impossibile prima d’ora da fissare: il divenire, le varie fasi cioè dello spazio precedenti quella in cui siamo ad occuparlo. E con queste noi stessi, che fissiamo qui e ora, la lunga strada percorsa per arrivare qui.

In questo atomo della Terra, ci sono state però, nei secoli, alcune menti capaci di presentirlo, codificandolo come una delle due categorie supreme che Kant individuerà alla base della conoscenza umana, lo Spazio e il Tempo, senza le quali categorie è impossibile il giudizio sintetico a priori. E questi pionieri dell’infinito, che si mettono già sulla strada in cui "tanta ala vi stese" Kant, sono Agostino di Ippona, che per primo codifica nella coscienza umana il divenire del Tempo, configurando il perenne riversarsi nel presente del passato e del futuro. Seguiranno alcuni sommi poeti, che del Tempo hanno celebrato l’essenza, Petrarca arrendendolo all’eternità, Leopardi alla santità del Nulla. Fino alla codificazione del Tempo fatta da Henri Bergson, il filosofo francese che distingue il tempo spazializzato dell’orologio da quella della durata reale della coscienza, che sfugge alla misurazione. Quello, insomma, per cui un minuto può essere lungo come un anno e viceversa. Aprendo la porta a Marcel Proust, che con la sua Recherche du temps perdu ha scoperto la memoria involontaria, quella passività della sensazione casuale che salva un pezzo di eternità nel ricordo.

Quando ho ammirato la foto che gli Usa donano al mondo, ho sentito che tutti questi grandi spiriti venivano riconvocati. E mi sono sentito loro fratello, felice di essere vivo, a guardare la strada percorsa anche per loro.