Giovedì 18 Aprile 2024

Il pompiere e il calvario di Moro. "Pulimmo il sangue in via Fani. Provo ancora paura e rabbia"

La vita del vigile del fuoco Piero Moscardini si intreccia con quella del presidente della Dc. "Il 18 aprile 1978 intervenimmo in via Gradoli per una perdita d’acqua, lì c’era il covo delle Br"

Il corpo di Aldo Moro nel baule della Renault 4

Il corpo di Aldo Moro nel baule della Renault 4

Roma, 15 aprile 2023 – Nei vigili del fuoco dal 1966, nella Protezione civile dal 1982, Piero Moscardini ha passato quarantatré dei suoi settantasette anni di vita tra terremoti, alluvioni e calamità naturali che avevano devastato l’Italia e il mondo ma anche drammi nazionali: da piazza Fontana alla strage di via Fani, alla morte di Alfredino Rampi a Vermicino. Nel 1978 Moscardini è alla sala operativa del comando provinciale dei vigili del fuoco di Roma. È allora che la sua vita s’intreccia con il caso Moro, da via Fani, a via Gradoli, a via Caetani, e con i suoi misteri.

Moscardini, partiamo dall’inizio, da via Fani.

"Intervenimmo, una volta che erano stati ultimati tutti i rilievi, per ripulire, se si può dire, la strada dai segni del massacro. Poi ci impegnammo nelle ricerche del presidente della Dc".

Dove foste impegnati?

"Seguivamo le indicazioni che ci venivano dalle forze di polizia. Monte Mario, la Balduina, Via Cassia, via Trionfale, i barconi sul Tevere, un parcheggio in piazza Cavour. Ispezionammo condomini, fabbricati, cantine, persino le intercapedini. Roma era blindata. Le vie consolari erano controllate. Arrivavano segnalazioni da sensitivi, medium, indovini, che venivano controllate una ad una. Non si trascurava niente. Fino all’impiego dei vigili del nucleo sommozzatori di Roma nel lago ghiacciato della Duchessa".

Via Gradoli 96 e una data cruciale nella storia del sequestro Moro: 18 aprile.

"In mattinata, direi fra le nove e le dieci, arrivò una telefonata per un danno provocato da una perdita d’acqua dal balcone dell’appartamento al piano di sopra. Gli inquilini avevano suonato senza avere risposta e non erano riusciti a rintracciare l’amministratore. Allora avevano chiamato il nostro centralino 44444. Era stata inviata sul posto l’autopompa del distaccamento Prati, competente per zona. Pareva un intervento per un normale danno d’acqua. Anche i nostri vigili suonarono invano alla porta dell’appartamento. L’acqua scendeva copiosa dal piano sopra all’ammezzato. Il capo squadra Giuseppe Leonardi fece montare tre pezzi di ‘scala italiana’ fino ad un’altezza di otto metri e cinquanta. Salì il vigile Bruno Trementini, che scavalcò il balcone e penetrò nell’appartamento forzando la porta finestra".

E una volta dentro?

"All’interno c’erano già tre centimetri d’acqua sull’intero pavimento. Guardandosi attorno, Trementini notò le armi e vario materiale. Via radio venne richiesto alla centrale di avvertire la polizia. Il funzionario di servizio, l’ingegner Fabio Amoni, chiamò il 113. Contemporaneamente, si constatò che in bagno il rubinetto era aperto. Un grosso asciugamani faceva da tappo alla vasca, che era ormai colma. L’acqua traboccava abbondantemente sul pavimento".

E la storia del telefono della doccia appoggiato con una scopa in modo che l’acqua fuoriuscisse?

"Una balla".

Un “guasto” provocato?

"Poteva essere. Mi è difficile pensare a un asciugamani lasciato a fare da tappo a una vasca con il rubinetto aperto".

Poi cosa accadde?

"Via Gradoli era una strada a senso unico, piuttosto stretta. La presenza della nostra autopompa e della polizia richiamarono un certo numero di curiosi. Poi arrivarono i giornalisti e la televisione".

In quell’appartamento si nascondevano Mario Moretti, che stava conducendo l’interrogatorio di Moro nella “prigione del popolo”, e Barbara Balzerani.

"Questo lo apprendemmo dopo. Alcuni giornali parlarono di due persone viste allontanarsi da via Gradoli su uno scooter, un uomo alla guida e una ragazza con un casco scuro".

Via Caetani, 9 maggio.

"Il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Roma, l’ingegner Elveno Pastorelli, ci suggeriva l’uso accorto delle ambulanze in dotazione al comando di Roma in modo da averne a disposizione nel caso che ci fosse stata necessità. Si riferiva al presidente Moro, che poteva essere ritrovato ferito, infortunato, provato, bisognoso di un soccorso immediato. La mattina del 9 maggio venimmo chiamati per un intervento in via Caetani. C’era una Renault 4 chiusa, doveva essere aperta. Dal comando di via Genova mandammo un ‘carro fiamma’, un carro con attrezzature per aprire il portellone. Inviammo i colleghi del distaccamento Ostiense di via Marmorata, a dieci minuti da via Caetani. Si decise di inviare a supporto anche un’ambulanza, che partì da Ostiense. L’artificiere rassicurò i colleghi sull’assenza di esplosivo. Il portellone venne aperto. La nostra ambulanza caricò il corpo di Moro e lo trasportò all’Istituto di medicina legale dove venne eseguita l’autopsia".

Perché si pensò di inviare anche una delle vostre ambulanze?

"Inevitabile. Si cercava Moro. La Renault era parcheggiata fra piazza del Gesù, dove aveva la sua sede la Dc, e la sede del Pci, in via delle Botteghe Oscure".

Cosa le hanno lasciato quei cinquantacinque giorni?

"Le emozioni di quei giorni smossero un insieme di sentimenti diversi, gli stessi che provo ancora oggi perché me li sono sempre portati dentro: rabbia, paura, tristezza, disgusto, speranza. In via Fani, davanti a quello scenario di morte, pensai che in quel momento lo Stato era debole. Nei giorni a seguire sperai che riuscisse a risollevarsi".