Raffaele
Marmo
Un oltraggio ai valori della civile convivenza. Morire sul lavoro è innanzitutto questo. Lo dice il presidente della Repubblica. E nella sottolineatura di Sergio Mattarella c’è tutta l’inaccettabilità di una tragedia che poteva e doveva essere evitata. Kevin Laganà, 22 anni, Michael Zanera, 34 anni, Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Giuseppe Aversa, 49 anni, e Giuseppe Saverio Lombardo, 53 anni, non dovevano morire su quel binario a Brandizzo, tra Torino e Milano. E potevano davvero non essere travolti, con i loro sogni e i loro sentimenti, gli affetti e le speranze di una vita davanti. Potevano davvero essere ancora oggi a casa con i loro cari e non con i corpi squarciati in un penoso obitorio. Potevano davvero essere ancora al bar con gli amici a fine turno e non disintegrati da un treno lanciato a 160 chilometri l’ora.
Potevano. Ma non è andata così. E non è andata così non per un destino insondabile, per una fatalità maledetta, per una sorte terribile assegnata da chi sa chi. No. È andata come è andata per una sequenza di colpe e di responsabilità umane che le varie inchieste dovranno accertare, ma che non potranno essere considerate frutto di spiegabile o scusabile disattenzione o negligenza.
Ce lo chiedono oggi i morti di Brandizzo, come l’infinita sequenza di morti sul lavoro di questi anni. Ce lo chiedono ancora i sette operai del rogo della Thyssen di quella notte del 6 dicembre del 2007. Ce lo chiedono i figli, le mogli, i genitori, le fidanzate, gli amici e i compagni di lavoro di Kevin, Michael, Giuseppe, Giuseppe, Giuseppe Saverio.
Un oltraggio alla civile convivenza non può restare senza una risposta appropriata che individui errori e responsabilità, perché solo da una giustizia compiuta e da una verità netta può derivare la fine del senso di impunità nel mancato rispetto delle regole della sicurezza sul lavoro e un’adeguata attività di prevenzione.