Venerdì 19 Aprile 2024

Vera Gemma "Mio padre Giuliano era bello e impossibile Solo Leone mi capiva"

L’attrice premiata a Venezia: "Sono cresciuta in casa con Anthony Quinn, la Cardinale e la Andress e con il grande regista che mi offrì una parte. Ma prima di arrivare al cinema ho fatto la spogliarellista e la domatrice"

di Giovanni Bogani

"Mina venne a casa nostra: prese una mia foto e ci disegnò sopra tanti ricci: “Ecco, ora sei ancora più bella“. Mariangela Melato arrivava con le sue enormi collane di plastica, coloratissime. E non era l’unica: in quella nostra villa meravigliosa sull’Appia antica venivano tutti: Anthony Quinn, Claudia Cardinale, Ursula Andress… Ma io me ne stavo in disparte, invisibile. Solo Sergio Leone sembrava capirmi. Mi disse: “A te ci penso io“. Aveva in mente un ruolo per me in un suo film. Poco dopo morì. E poi finì anche tutto quel lusso. Sparì anche la villa sull’Appia".

La storia di Vera Gemma è unica. Coraggio e insicurezze; ribellioni e amore; cadute e resurrezioni. Una vita che sembra un film. E infatti, su di lei due registi, Tizza Covi e Rainer Frimmel, hanno fatto un film che cammina sul filo fra realtà e finzione. E che ha fatto vincere a Vera un sorprendente premio come migliore attrice nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia, dove c’erano film interpretati da Elodie, Penélope Cruz e Isabelle Huppert. Una rivincita che le travolge il cuore. "Non abbandonate mai il vostro sogno", ha detto sul palco. "Questo premio è per i due uomini della mia vita: mio padre Giuliano Gemma e mio figlio Maximus".

Cominciamo proprio dalla dedica a suo padre, eroe del western all’italiana. Come ha vissuto il rapporto con lui?

"L’ho sempre amato, ma ho anche sempre sofferto il confronto con lui. Un confronto che in realtà hanno sempre fatto gli altri. Per anni non mi sono sentita bella, per anni mi hanno detto che ero un cesso, per anni mi hanno detto “certo che lei, con quella faccia, non può fare il cinema“. Ma era un’ossessione, la bellezza, anche in famiglia: da piccolissime, mia sorella e io ci siamo rifatte il naso. Eravamo due figlie che ‘dovevano’ essere all’altezza del padre. E lui stesso mi diceva: “Tu non sei la classica bellona, né la brutta che fa ridere. Al cinema sarà durissima, per te“. E io soffrivo. Anche se mi diceva: “Ma a teatro, Gemma, sei più brava di me“".

Si è mai sentita bullizzata?

"Tantissimo, da parte del pubblico, specialmente nei reality: “lei è un cesso“, “devi morire“, me ne hanno dette di tutti i colori. Io scateno antipatia, forse perché sono sincera e diretta, ma anche amore folle. E questo premio dice che alla fine, nella vita, ce la puoi fare anche quando non ci credi quasi più".

Qual era il suo cruccio?

"Mi sentivo brutta, non mi sentivo desiderabile".

Eppure è cresciuta come una principessa. La sua non è stata un’infanzia come le altre.

"Sì. Quando ero piccola, mio padre guadagnava tantissimo: mia sorella e io andavamo a scuola con l’autista, il pranzo ce lo serviva il cameriere. Vacanze sempre nei luoghi top. Poi è cambiato tutto. Mia madre è morta, la casa sull’Appia l’abbiamo dovuta vendere. Io ho cominciato a inventarmi la mia vita professionale. Senza mai un aiuto da parte di papà. Lui non ha mai fatto una telefonata per trovarmi un ruolo, e io gliene sono grata".

Come ha proseguito la sua carriera?

"Ho fatto piccole parti con grandi maestri come Sergio Citti, poi tanto teatro underground a Roma, ho scritto due libri, me ne sono andata negli Stati Uniti. Ho fatto tutto da sola".

Il suo percorso l’ha portata anche nei locali di Sunset Boulevard.

"Sì: ho fatto la spogliarellista al Body Shop di Los Angeles, uno dei più famosi. Non ti devi solo spogliare, devi creare un personaggio. Avere tante persone che ti adorano intorno è stata una benedizione, una cura per la mia tremenda insicurezza. Lì ti adorano come una dea".

È anche entrata, letteralmente, nella gabbia dei leoni e delle tigri. Come domatrice.

"Sì: anche questo lo devo in parte a mio padre. Adorava il circo, ha imparato lì a girare le scene più pericolose senza stuntman. E quando è morto, ho sentito il bisogno di andare nei circhi. Ho frequentato un ragazzo domatore, e sono entrata in gabbia, ho domato tigri e leoni. Ho rischiato di morire, e ho capito che la cosa più importante è entrare in sintonia con gli animali".

Il cinema, in quel momento, sembrava lontano da lei. Perché, secondo lei, per tanti anni non l’hanno cercata?

"La mia faccia non è rassicurante. Mi hanno esclusa per la mia faccia: potevo, forse, fare una trans. Ma non altro, secondo loro. E intanto, io ho conosciuto la vita – dopo aver conosciuto il privilegio – anche nei piani più bassi: le borgate, le persone in difficoltà. Ho diretto un documentario su mio padre, ho interpretato i reality e non me ne vergogno, perché mi hanno portato un guadagno senza sforzo: dovevo essere semplicemente me stessa, e io non ho problemi a essere me stessa".

Ha come amica del cuore Asia Argento, con cui aveva iniziato Pechino Express. Che cosa vi lega?

"È come una sorella: non potrei paragonarla a nessun’altra. Da ragazzine eravamo inseparabili, leggevamo poesie di Hermann Hesse. Altro che sesso, droga e rock&roll, come hanno detto e scritto. Giravamo filmini in Super8, e sognavamo insieme".

Un’altra sua amica è Monica Bellucci.

"Meravigliosa: tempo fa mi ha mandato un messaggio che mi ha commossa: “Tu come Clint Eastwood, vivrai una seconda parte della tua carriera più splendida della prima“. E da allora, Monica mi chiama Clint. E ogni volta mi viene da ridere".

Suo figlio come ha vissuto il premio?

"È lui che mi ha detto “mamma, secondo me vinci“. E io gli ho detto: sei scemo, ma se vinco te lo dedico! E così ho fatto".

Che cosa si aspetta dai registi e dai produttori italiani?

"Niente. Come mi hanno snobbata prima, lo faranno ancora, per dimostrare che avevano ragione".