Martedì 23 Aprile 2024

Venti Regioni e il grande caos dei vaccini

Raffaele

Marmo

Il federalismo vaccinale produce mostri. Non bastava l’esperienza, drammatica, delle venti sanità regionali disarmate di fronte al primo assalto del virus la primavera di un anno fa. E non è bastata neanche quella, altrettanto tragica, della risposta, disarticolata e approssimata, che le regioni hanno dato tra la fine dell’estate e l’autunno nella gestione di scuole, trasporti, aperture e chiusure di attività e settori. Per non parlare della multiforme varietà di sistemi di tracciamento e di screening epidemiologico che abbiamo avuto modo di scoprire, nostro malgrado, nelle differenti aree della Penisola. Dunque, i cattivi esempi o le pessime pratiche di localismo sanitario non sono mancati. Ma non sono serviti.

E così anche nella campagna di vaccinazione di massa, che è a tutti gli effetti, la battaglia decisiva contro l’epidemia, siamo ripiombati pari pari nella moltiplicazione disorganica e arrembante dei meccanismi di gestione regionale delle operazioni di immunizzazione dei cittadini.

Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi. Regione che vai, modalità, tempi e logistica di prenotazione e di vaccinazione che trovi. Ma, così, anche gli stessi criteri di priorità diventano aleatori e arbitrari: da qualche parte gli ultraottantenni sono ancora in attesa di essere chiamati, da qualche altra si stanno immunizzando gli studenti di medicina o i professori più giovani. Certo è che in questo modo anche la grande roulette dei vaccini finisce per produrre quel tipico vizio italiano che neanche le guerre e le epidemie sono riusciti mai a estirpare: lo scaricabarile come metodo di governo delle crisi. Tant’è vero che ancora oggi non c’è nessuno che sia in grado di dirci se le dosi manchino davvero nelle dimensioni che ci raccontano o se il vaccino AstraZeneca sia stato usato solo per il 10 per cento delle disponibilità ottenute. E, quel che è peggio, è che potrebbero essere vere entrambe le realtà.