Sabato 20 Aprile 2024

Vent'anni fa il patto Putin-Bush. "Ecco perché è precipitato tutto"

Il 28 maggio 2002 lo storico vertice di Pratica di Mare che sancì la fine della Guerra fredda. Cella: "Fu il punto più alto dei rapporti Nato-Mosca. Poi lo zar ha pensato di ricostruire l’impero"

La storica stretta di mano tra Vladimir Putin e George W. Bush con Silvio Berlusconi

La storica stretta di mano tra Vladimir Putin e George W. Bush con Silvio Berlusconi

"Dobbiamo attenderci un periodo difficilissimo per le relazioni tra l’Occidente e la Russia. Siamo realisti. La guerra sarà ancora molto lunga, non c’è ancora uno spiraglio per il cessate il fuoco e anche quando si arriverà ad una tregua si innescherà un lungo e complesso processo negoziale. L’esito, dal punto di vista della sicurezza in Europa, dipenderà da come si arriverà alla tregua e da chi guiderà i due Paesi in quel momento. È probabile che rimangano le stesse e questo significa che il processo negoziale sarà un esercizio arduo". Si mantiene convintamente su posizioni realiste Giorgio Cella, docente in Università Cattolica di Milano e analista di politica internazionale, autore di “Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi“.

A vent’anni da Pratica di Mare sembra un altro mondo nei rapporti tra Russia e occidente. Come è potuto succedere che le speranze di allora sia stato così platealmente disattese?

"I rapporti tra Occidente e Russia hanno vissuto molte fasi dalla guerra fredda ad oggi. Sicuramente uno dei picchi più alti della collaborazione è stato rappresentato dal vertice dei Pratica di Mare e dalla conseguente costituzione del Consiglio Nato Russia, che è andato oltre la precedente Partnership for Peace. Anche se poi, certo, non ha avuto effetti duraturi. I fattori che hanno condizionato il deterioramento di questo rapporto sono stati vari. La politica estera russa, nei decenni successivi alla fine dell’URSS si è voluta dare un cammino per cercare di tornare ad una aura più o meno imperiale o di superpotenza, e questo si è scontrato con la proiezione estera della politica statunitense, a partire dal Kosovo, e poi con l’appoggio occidentale alle varie primavere in paesi dell’ex Unione Sovietica, come la Georgia e l’Ucraina, manifestazioni che andavano verso un consolidamento del cammino democratico e una apertura all’occidente, appoggio che non è stato visto affatto bene dal Cremlino. Le stesse proteste popolari che ci sono state in Russia nel 2011 hanno fatto suonare un campanello d’allarme nel Cremlino: sono state vissute come una sfida. E progressivamente il rapporto si è deteriorato".

Quindi il deterioramento è frutto del combinato disposto dell’atteggiamento espansivo dell’occidente nell’ex area di influenza sovietica e della volontà russa di recuperare un ruolo da superpotenza?

"Esattamente così. Combinare queste due traiettorie non conciliabili era una sfida allora e lo è ancora di più oggi. I due sistemi sono strutturalmente molto diversi. La Russia, per varie ragioni, non ha mai avuto un processo democratico al suo interno".

Come può essere vista con occhio di oggi la crisi ucraina del 2014?

"Come la prima fase della crisi ucraina della quale vediamo oggi la seconda parte. Sono due fasi dello stesso confronto. Accesosi allora ed esploso oggi. E’ in ultima analisi una crisi per l’estensione delle aree di influenza - e a un tempo anche di contrapposizione tra modelli più o meno democratici - che ha portato da parte russa a gravi violazioni della legalità internazionale, a partire dall’inviolabilità dei confini decisi dopo la seconda guerra mondiale".

Nel rapporto tra Russia e occidente le cose sarebbero potute andare diversamente?

"Visti gli interessi divergenti sarebbe stato molto difficile conciliare le opposte agende. Diciamo però che l’Unione Europea ha mancato di leadership e di unità nel cercare di mettere in sicurezza la regione del Donbass e disinnescare un possibile pretesto per un intervento russo in Ucraina. L’assenza dell’Ue nell’implementare gli accordi di Minsk o eventualmente nel proporne uno nuovo ha pesato, e otto anni è un lasso di tempo significativo. C’è stata una mancanza di peso (geo)politico e doplomatico da parte dell’Europa, sia Bruxelles che da parte dei suoi paesi più rappresentativi".