Vendola e la crisi Pd: "Malati di governismo. Partito balcanizzato incapace di cambiare"

L’analisi (impietosa) dell’esponente storico della sinistra radicale: "La sconfitta è già stata rimossa, si va avanti senza una bussola. Ai democratici non serve un nuovo Mosè ma una Bibbia laica"

Onorevole Vendola, lei è impegnato in un tour teatrale che farà tappa anche al teatro Duse di Bologna il 29 novembre, a Spoleto l’8 e al Puccini di Firenze il 9 dicembre. Il suo spettacolo si chiama, con un titolo che evoca un celebre passo della Bibbia, "Quanto resta della notte". E allora le domando: a che punto è la notte della sinistra?

"Direi che si fatica molto a vedere le luci dell’alba, siamo prigionieri di una notte lunga, buia, gelida – è l’esordio lirico e drammatico di Niki Vendola, un nome che ha molto da dire al mondo di sinistra in cerca di futuro - La sinistra che ha ammainato la bandiera del socialismo e ha impugnato gli stendardi del governismo, procede a tentoni, alla cieca, senza bussola. Così rischia di precipitare nel burrone dell’insignificanza".

Quali fattori hanno condotto a questo stato (tragico) di cose?

"La crisi della sinistra viene da molto lontano. Certo, la scelta improvvida di Enrico Letta di rompere l’alleanza con i Cinquestelle ha impedito di giocare la partita elettorale, regalando il Paese alla destra radicale di Giorgia Meloni, anche grazie a una vergognosa legge elettorale di cui il Pd porta la responsabilità. Ma questo è solo l’ultimo atto di una storia che comincia con la crisi del compromesso socialdemocratico in Europa, con la subalternità all’egemonia culturale del liberismo, con una lettura acritica della globalizzazione, con la cessione di sovranità alle tecnocrazie. Il Pd, come altrove è accaduto alle sinistre di governo, si è auto-incensato con la retorica della responsabilità del governare ed è apparso sempre più come l’alter ego dell’estabishment".

Il governismo come malattia senile del centro-sinistra?

"Esatto, il governismo come surrogato degli ideali smarriti".

Ci sono responsabilità che lei individua?

"Non cercherei capri espiatori. Certo, gli eredi delle grandi famiglie politiche novecentesche (penso soprattutto ai comunisti) hanno dissipato il patrimonio ereditato con lo stile del “cupio dissolvi”. Ma piuttosto che individuare i singoli responsabili della sconfitta, occorrerebbe discutere di tutti noi, di come siamo, delle lenti con cui guardiamo il mondo, della critica che facciamo al modello dominante di sviluppo, degli interessi sociali che intendiamo rappresentare, di come costruiamo le ragioni e le speranze di un nuovo socialismo".

Il Pd ha compreso la lezione della sconfitta?

"Vorrei poterle rispondere affermativamente, ma se guardo al loro dibattito pre-congressuale non solo le dico che la sconfitta là dentro pare già una pratica chiusa e archiviata, ma che questa incredibile rimozione è figlia della natura del Pd, di un partito balcanizzato in correnti e potentati locali, un soggetto irriformabile, refrattario a qualunque autocritica che non sia di superficie, sempre in attesa di un leader che lo resusciti e lo salvi. A oggi, un partito il cui senso e la cui missione è sedersi nella “stanza dei bottoni”".

Tra i candidati in campo nel Pd quale potrebbe svolgere una funzione di rivitalizzazione o pensa che sarebbe meglio una sorta di auto-scioglimento del partito?

"Non penso che serva una specie di Mosè, per guidare la probabile traversata nel deserto, se prima non si capisce quale sia la direzione da imboccare e quale la missione da compiere. Senza una Bibbia laica, senza una visione del mondo, senza la semplicità di una profezia mondana che parli al popolo, non c’è futuro. Il problema del Pd rischia di essere il Pd".

I grillini di Conte sono di sinistra?

"I Cinquestelle, dinanzi alle vaghezze del Pd, hanno presidiato uno spazio simbolico che profuma di “sinistra sociale” e si sono, quasi per forza d’inerzia altrui, collocati dunque nel campo progressista. Sarebbe bello che questo “progressismo” si arricchisse di una discussione aperta, di una elaborazione culturale che nasca da un confronto con quelli che Ardigò chiamava i “mondi vitali”, e non vivesse solo di posizionamenti e di allusioni nel recinto del ceto politico. Comunque la considero una evoluzione positiva, anche rispetto a quella sorta di supermarket populista che era il movimento delle origini".

Che ruolo possono svolgere?

"Se Conte avesse coraggio e buttasse il cuore oltre l’ostacolo, potrebbe essere lui il federatore di un fronte progressista che oggi appare assai frammentato. Sorrido quando sento contro di lui la critica di essere un populista, in un Paese in cui pure le élite sono populiste. Perché non sono forse populisti Renzi e Calenda, con il loro moderatismo barricadero?".

Che traversata nel deserto sarà?

"Guardi, la sconfitta è innanzitutto un terreno di analisi. Il “che fare?” è capire, studiare le forze sociali e le dinamiche del mondo, avere cognizione di chi domina la scena globale e di quali culture si nutra il suo dominio, analizzare le strutture di potere e svelare la loro ideologia. Senza questa fatica di intelligenza del reale, saremo preda di illusioni e di miraggi, proprio come accade nel deserto. Aggiungo che capire e studiare non significa separarsi dalla politica. Interrogarsi sulle sfide del nostro tempo mentre ci si batte per i diritti, per le libertà, per la pace, per la giustizia: è solo compito di un Papa venuto dalla “fine del mondo” quello di criticare il potere e di annunciare un futuro migliore? Se non fa questo, la sinistra a che serve?".