Martedì 23 Aprile 2024

Vendola contro le toghe: giustizia malata

Secondo i giudici l’ex presidente cercò di ammorbidire la posizione dell’Arpa sulle emissioni. Ma lui non ci sta e attacca la sentenza

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di Ettore Maria Colombo

"Sono finito in una tagliola giudiziaria, ma mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. È come vivere in un mondo capovolto. Quelli che hanno venduto l’ambiente stanno godendo. Urlerò la verità. Questa sentenza calpesta i fatti". È un fiume in piena, Nichi Vendola, condannato a tre anni e mezzo dalla Corte di Appello di Taranto nell’ambito del processo sull’Ilva e contro i Riva.

Lo sfogo dell’ex governatore pugliese è durissimo e mette nel mirino i giudici che lo hanno condannato: "Si tratta di una carneficina del diritto e della verità". Una reazione veemente, un attacco frontale alla sentenza e alla giuria, in cui Vendola urla tutta la sua rabbia, si definisce "un agnello sacrificale", annuncia che appellerà la sentenza e la definisce "l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata. Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia". Poi avverte: "Sono rimasto zitto, finora. Non lo resterò più".

Nella sentenza del processo penale ’Ambiente svenduto’, che ha visto 47 imputati (44 persone e 3 società), Vendola è stato condannato per concussione: l’accusa per lui è di aver "fatto pressione sul direttore generale di Arpa Puglia" per ’ammorbidire’ la posizione dell’Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’Ilva.

Tra le condanne della corte d’Assise spiccano quelle degli ex proprietari e vertici dell’acciaieria (22 anni di reclusione a Fabio Riva, 20 al fratello Nicola), le loro longa manus (il responsabile istituzionale, Giovanni Archinà, e il direttore dell’impianto, Luigi Capogrosso, entrambi condannati a 21 anni) ma anche politici e uomini delle istituzionali. Oltre a Vendola, infatti, i giudici hanno dato tre anni anche all’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, del Pd, mentre l’allora sindaco della città pugliese, Ippazio Stefàno, e altri sono stati assolti.

L’inchiesta è iniziata nel 2012, e il processo si trascina da tempo, con un primo dibattimento davanti alla Corte d’Assise, poi annullato, e un secondo procedimento cominciato nel 2016, quello che si è concluso ieri. Le accuse a Vendola furono uno dei motivi per cui l’ex leader di Sel – oggi furibondo – si allontanò dalla scena politica, proprio perché finito "nel tritacarne".

Paradossalmente, la scelta di ‘uscire’ dalle luci della ribalta nazionale aveva fatto bene, a Vendola, per ben due volte (da 2005 al 2015, e con molti voti) governatore della Puglia, storico leader della sinistra comunista prima (Pci-Prc) e radicale poi (Sel-SI). Tranne qualche apparizione glamour, come nei film di Checco Zalone o su una copertina di Chi, ‘Nichi’, per gli amici, – famoso per la ‘zeppola’ nella voce quanto per il lirismo politico (dal suo mentore, Ingrao, eredita l’amore per le poesie) – da anni vive tra Roma il Canada e la sua amata Puglia, a Terlizzi, suo paese natale, insieme al suo compagno, Eddy Testa, e a Tobia, suo figlio a tutti gli effetti, grazie alla stepchild adoption.

La politica, però, combina scherzi amari. "Ilva, Giustizia è fatta" titolerà oggi il giornale Il Fatto quotidiano che un tempo lodava Vendola. E lo stesso ex governatore pugliese si piegò – pur venendo da una solida cultura garantista e libertaria – al giustizialismo e all’alleanza con i ‘manettari’. Non solo Di Pietro, ma anche Luigi de Magistris e Antonio Ingroia. Solo oggi si scaglia, comprensibilmente, contro i giudici che lo hanno severamente condannato.