Veglia da un anno la tomba del figlio Il dialogo di un padre tra vita e morte

Cesare, 82 anni, ogni giorno trascorre sei ore al cimitero: "Soltanto così posso ancora parlargli"

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di Davide

Rondoni

La sedia rossa di Cesare chissà cosa gli fa vedere. Sta lì, per ore, vicino alla tomba del figlio sulla sedia pieghevole che era la sua. E gli parla, dice. Cesare Mascotto ha 82 anni e il figlio Florindo è morto a 51. Era un imprenditore stimato e conosciuto. Ma non importa qui ripercorrere la biografia sua e del padre che nel cimitero di Sarego, vicino a Vicenza, è da 13 mesi una presenza quotidiana.

Arriva in auto, estrae dal baule la sedia pieghevole rossa che era del figlio da ragazzo e si mette lì vicino per ore. Non si può giudicare il dolore di un uomo.

Di un padre che sopravvive al figlio si può dire ancor meno. Né si possono sindacare o pensare di analizzare i suoi gesti. Ma di fatto quella sedia rossa, semplice, è un segno sacro del nostro tempo che molti dicono secolarizzato, desacralizzato.

Poi ovunque invece vedi segni del sacro. Nei tatuaggi sui polsi o sulle spalle di ragazzi e vip, nelle magliette o sciarpe attaccate dove un giovane ha perso la vita, nei segni alle collanine, in certe canzoni, nelle poesie di tanti. Segni, come la sedia di Cesare, che indicano che siamo su una soglia.

Tra il visibile e il mistero, tra quel che misuriamo e quel che è più grande della nostra mente. I superficiali diranno: povero vecchio, è ammattito. O forse ammattiti sono quelli che pensano di dominare il mistero della vita e della morte con pensierini banali, con strategie tecnologiche, con conquiste di immortalità basate sulla grottesca ricerca della fama. La sedia rossa di Cesare, il suo gesto semplice, ci pongono delle domande che non possiamo eludere.

Dove sta davvero la sedia di Cesare ? Al camposanto di un paese italiano. Lui è lì. In quel posto, certo. Ma forse sta su quella soglia su cui da sempre abitano Sibille, profeti, veggenti. La sua sedia minima e regale sta su quella riva tra tempo ed eterno che solo l’uomo vive e di cui è consapevole. Una sedia da uomo di pena ma anche ricco di amore.

Anche Leopardi volendo intuire la natura dell’Infinito, vedendo la siepe, il limite, e percependo che il suo cuore era fatto per “naufragar” nell’eterno, in quel giardino si siede. “Sedendo e mirando”.

E anche Cesare, siede e con gli occhi del cuore “mira”, apre gli occhi su una dimensione invisibile ma non per questo inesistente. Il suo conversare con il figlio è follia? È la vanvera di un pazzo? O è il segno che abitiamo una soglia, che non esiste solo quanto vediamo e misuriamo?

La sedia rossa di Cesare vive in mille altri segni, luoghi, gesti, che nel nostro Paese mostrano questa soglia.

Ci sono, in un certo senso, sedie rosse ovunque, soglie dove uomini e donne sapienti, profeti e sibille del nostro tempo, vegliano e indicano la nostra natura umana. “Restiamo umani” è diventato quasi uno slogan in questi anni. Ma se perdiamo questo senso di soglia si perde la qualità principale, la identità profonda della nostra umanità. Per questo la sedia rossa di Cesare, così semplice è in realtà il trono, il povero meraviglioso trono, della nostra umanità.