Variante Xe, il confronto con le altre mutazioni Covid: cosa dicono gli esperti

Si ipotizza un livello di trasmissibilità da record: il 10% in più rispetto a Omicron 2

Milano, 5 aprile 2022 - L’attenzione della comunità scientifica è tesa al monitoraggio della variante Xe di Sars-CoV-2. Questa mutazione ricombinante di Omicron 1 e Omicron 2 (BA.1 e BA.2), è stata rilevata per la prima volta nel Regno Unito il 19 gennaio scorso, e da allora sono oltre 600 le sequenze segnalate e confermate. Inevitabile chiedersi quale grado di letalità ci dobbiamo aspettare.

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Il confronto tra varianti
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​Cosa dicono gli esperti

Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, chiarisce:

“E' prematuro esprimere un giudizio. Per ora si sa solo che sembra essere un ricombinante di Omicron 1 e 2", dei ceppi BA.1 e BA.2. E' normale che ci sia. Per l'influenza di tipo A sono fenomeni che avvengono in continuazione, e quindi anche per Sars-CoV-2 possono verificarsi. Mi sarei preoccupato di più se questi ricombinanti ci fossero stati non tra due Omicron, ma per esempio tra Omicron e Delta o tra Omicron e qualche altra variante precedente che magari dava maggiore vitalità a una variante patogena che aveva già circolato. Però non è questo il caso”.

Posto quindi che è prematuro sbilanciarsi, anche perché i casi segnalati sono ancora pochi, non sembra al momento che vi siano elementi che indichino maggiore patogenicità; ma Xe parrebbe più diffusiva; se davvero fosse così potrebbe candidarsi a sostituire Omicron 2.

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Massimo Galli, ex direttore di Malattie infettive all'ospedale Sacco di Milano, ha spiegato: "Il virus rivela ancora una volta la capacità di ricombinarsi, tra varianti diverse, quando c'è co-circolazione. Cosa questo possa implicare in termini di impatto clinico ed epidemiologico non lo sappiamo. Speriamo che il coronavirus abbia preso una linea evolutiva che la porti ad essere meno patogeno e che possa essere derubricato a un virus non più pandemico. I tempi e i modi di tutto questo, però, non li conosciamo".

Anche il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all'università Statale di Milano, invita alla cautela: "aspettare e monitorare, rafforzando la sorveglianza”. L’esperto pone però l’accento sulla capacità di contagio che Xe avrebbe già dimostrato comparata a Omicron 2: superiore al 10%. Il messaggio del medico, direttore sanitario dell'Irccs Galeazzi di Milano, è di evitare allarmismi ingiustificati. Fra l'altro, rimarca Pregliasco, "la tendenza evolutiva dei virus, salvo inciampi, è quella di diventare progressivamente sempre più benevoli nei confronti dell'ospite".

Ricapitolando: pur andando ancora con i piedi di piombo, la voce degli esperti tende a essere univoca nell’ipotizzare che Xe potrebbe rivelarsi più trasmissibile, ma meno aggressiva delle precedenti versioni di Omicron. A chiudere la carrellata anche l'opinione di Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza che, ospite su Rai Tre ad Agorà, ha dichiarato: “Per il momento non sembra più letale, ma il fatto che sia più contagiosa è preoccupante perchè crea una diffusione enorme del contagio con il coinvolgimento non solo dei pazienti ma anche degli operatori sanitari. In Gran Bretagna in questo momento per aspettare un'ambulanza ci vogliono addirittura 20 ore e l'attesa media per un intervento chirurgico in elezione è 10 anni, questo vuol dire che i cittadini non riescono ad accedere ai servizi sanitari. Dobbiamo evitare questo".

Benché si ipotizzi dunque un 10% in più di contagiosità per Xe rispetto a Omicron 2, l'Oms precisa che, finché non verranno riportate "significative differenze nella trasmissibilità" del mutante "e nelle caratteristiche della malattia" che provoca, "inclusa la gravità", verrà considerata una variante appartenente alla 'famiglia' Omicron

Messe sul tavolo tutte le informazioni attualmente in possesso della comunità scientifica è interessante notare come – nello spazio di poco più di un biennio – il virus che ha paralizzato il mondo e cambiato radicalmente il nostro modo di vivere si sia evoluto. Ecco - sulla base della catalogazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - la carta d'identità di tutte le varianti del virus classificate come VOC (Variants Of Concern; in italiano: varianti preoccupanti).

Variante Alfa

(Variante VOC 202012/01, nota anche come B.1.1.7) identificata nel Regno Unito. Secondo la classificazione dell’OMS, questa variante del virus è considerata preoccupante, poiché sussiste un rischio elevato di contagio (ben il 70% in più rispetto alle versioni precedenti). La variante Alpha è stata identificata nel settembre 2020. Da metà febbraio a fine giugno 2021 è stata la variante del virus circolante con maggiore frequenza in molte parti d’Europa, in seguito è stata soppiantata. E’ stata la prima ad aver allarmato la comunità scientifica, a causa delle numerose alterazioni a livello genetico che la caratterizzano. Le mutazioni associate alla variante Alpha rendono più semplice la propagazione del virus, favorendo la trasmissione dell'infezione, ma allo stesso tempo non hanno influenzato significativamente la capacità protettiva della vaccinazione. Causa malattia severa nella maggior parte dei casi.

Variante Beta

Variante 501Y.V2, nota anche come B.1.351) identificata in Sud Africa. Secondo la classificazione dell’OMS, questa variante del virus è considerata preoccupante (VOC), poiché può causare un decorso grave della malattia e possiede proprietà immunoevasive. Sussiste quindi il rischio di reinfezione. La variante Beta è stata identificata per la prima volta nel maggio 2020, i dati genomici ed epidemiologici hanno suggerito una maggiore contagiosità rispetto alle forme precedenti, ma la gravità della malattia non risulta alterata.

Variante Gamma

(Variante P.1) con origine in Brasile. Secondo la classificazione dell’OMS, questa variante del virus è considerata preoccupante (VOC), poiché può causare un decorso grave della malattia e possiede proprietà immunoevasive. Sussiste quindi il rischio di reinfezione. La variante Gamma è stata identificata per la prima volta nel novembre 2020. Anche in questo caso la sua trasmissibilità si è rilevata elevata e superiore rispetto alle precedenti: 1,5 volte in più del ceppo originario di Wuhan. In Italia non ha avuto una circolazione estesa.

Variante Delta

(Variante VUI-21APR-01, nota anche come B.1.617) rilevata per la prima volta in India nel 2020. Il nome Delta si riferisce alla famiglia di varianti B.1.617.2 e tutte le sottovarianti AY. Sussiste un elevato rischio di reinfezione. Questo ceppo si è diffuso rapidamente in tutto il mondo e ha soppiantato la Alpha, rispetto alla quale studi hanno evidenziato un indice di trasmissibilità fino al 60% più alto. Nel corso del 2021, la Delta si è ulteriormente modificata nella in Delta Plus. Sebbene la vaccinazione proteggesse dalle forme più severe della malattia, Delta ha mostrato di poter “bucare” lo scudo del siero. Il suo R0, ovvero il numero di persone medio che un infetto può contagiare, si attesta intorno alle 6-7.

Variante Omicron

(Variante B.1.1.529) rilevata per la prima volta in Sud Africa il 24 novembre 2021. Attualmente predominante in Italia ed Europa. Si caratterizza per una trasmissibilità da record e una ridotta protezione immunitaria, che comporta un rischio di reinfezione e di ridotta protezione vaccinale. Rispetto alle varianti del passato, Omicron è meno aggressiva – ma miete ancora molte vittime come confermano i report quotidiani. Il rischio di ospedalizzazione, per fare un paragone, è un terzo rispetto a Delta. Per quanto riguarda l'infettività, per farsi un’idea del livello di infettività raggiunto: il raffreddore ha un R0 di circa 1.88, il ché significa che un soggetto raffreddato contagerà circa 2 persone mentre nel caso della Sars-CoV2 l'R0 varia da 2.5 fino a 18 nel caso della variante Omicron.

Pareva impossibile da credere ma Omicron 2, conosciuta come la sorella di Omicron 1 e attualmente la più diffusa in Italia, risulta contagiosa il 30% in più rispetto alla precedente versione. Batte anche morbillo e varicella, ovvero le malattie più facilmente diffusibili a oggi. Molti infettivologi l’hanno descritta come la sottovariante più contagiosa mai vista.