Milano, 14 settembre 2024 – L’approdo per quello che rappresenterà il finale di una partita più volte disputata, ripresa e rigiocata sarà in una casa di cura in provincia di Padova. L’uomo che verrà accolto è più vecchio dei suoi 74 anni, fiaccato da mezzo secolo di carcere (52 anni), gravato da quattro ergastoli per un totale di 295 anni di reclusione, dimentico, chiuso nella sfera impenetrabile dell
’ assoluta incoscienza di sé, del suo passato violento, della pena che sconta, bisognoso di continuo accudimento anche per gli atti più elementari del vivere quotidiano.Il Tribunale di sorveglianza di Milano, dopo il parere favorevole della Procura generale di Milano, ha accolto l’istanza dei difensori Corrado Limentani e Paolo Muzzi di differimento pena per una grave forma di decadimento cognitivo: Renato Vallanzasca lascia il carcere di Bollate per essere trasferito in un struttura assistenziale.
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L’imprigionamento nell’Alzheimer, demenza, paranoia, deliri notturni, afasia. Cadute dal letto. Ripetuti ricoveri. Diagnosi e referti hanno fagocitato con il tempo l’immagine di Vallanzasca che pareva cristallizzata per sempre in una sorta di iconografia.
Il “bel René” (bello e sicuramente anche dannato), con la variante il “René della Comasina”, anche se non cresce in quello che diventerà il suo piccolo regno milanese ma in via Porpora, dalle parti di piazzale Loreto. E ancora, il bandito dagli occhi di ghiaccio e dai sorrisi beffardi rivolti in favore di macchina da presa. O il gangster galante che fa impazzire le donne e adora lo champagne. Enfasi letteraria, involucro rilucente ma fragile per avvolgere una carriera criminale costellata di rapine, omicidi, sequestri di persona, evasioni, mai riscattata dalla luce del pentimento.
Con gli anni e con il progredire del buio che lo inghiottiva, alle istanze dei legali si sono accompagnati gli appelli, come quello rivolto tempo fa dall’ex moglie Antonella D’Agostino: “Non è più lui. Non si ricorda neanche chi era. Per usare le sue parole, è ‘fuori di testa’. Faccio un appello affinché siano disposti a fargli passare gli ultimi anni della sua vita in un ricovero”.
Una vita di carcere
Dal riformatorio in cui comincia a entrare e uscire compiuti i tredici anni. In un carcere vero e proprio debutta nel 1969, da poco maggiorenne, per uscire un anno dopo, rientrare, nel ‘72, evadere nel ‘76, sette mesi fuori, dal febbraio del ‘77 sempre in cella, a parte la “vacanza” dopo la famosa evasione da un oblò del traghetto che da Genova dovrebbe trasportarlo in Sardegna, all’Asinara: venti giorni impiegati per una visita ai genitori, l’intervista a una radio, un epilogo di bella vita tra compagnia femminile, mangiate di pesce, l’immancabile champagne. Adesso lo attende un simulacro di libertà di cui il vecchio fuorilegge non sarà consapevole.
La banda
Tino Stefanini, con Vallanzasca e Osvaldo (Chico) Monopoli, è uno dei superstiti della banda. “Era ora – dice Stefanini – che venisse accordato il differimento della pena. Cosa aspettavano? Che Vallanzasca morisse in carcere? Da anni Vallanzasca non è più quello di un tempo, non è più Vallanzasca. Noi non siamo più quelli di allora. Oggi vogliamo vivere nella normalità. Io ho un’attività, con dei soci produciamo t-shirt e abbigliamento. Una quota di quello che guadagnerò andrà a Renato e a Chico”.