Martedì 16 Aprile 2024

Vallanzasca ai giudici: 50 anni in cella, basta. "Mandatemi ad aiutare i giovani"

La lettera dell’ex bandito: sono un settantenne, consapevole dei danni causati dalle mie scelte. La mia vita assurda può insegnare

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"Per tutti resto il bandito". Renato Vallanzasca lo ha scritto ai giudici qualche giorno fa, poche ore prima che gli negassero la libertà condizionale "per mancanza della prova del ravvedimento".

Evidentemente il bandito della Comasina aveva intuito che sarebbe andato incontro all’ennesima sconfitta della sua esistenza, quasi interamente bruciata in carcere.

Vallanzasca ha trascorso mezzo secolo dietro le sbarre. Inevitabile conseguenza di un curriculum da Champions League del crimine: omicidi, rapine, evasioni. Ora di anni ne ha settanta e la salute, messa a dura prova da decenni trascorsi (spesso in isolamento) nelle carceri di massima sicurezza di tutta Italia, non gli è più amica. Ed è anche un uomo solo Renato Vallanzasca. È infatti andato in fumo anche il suo secondo matrimonio, che durava da una decina di anni. Ha detto basta lei. La detenzione aveva via via sfilacciato il rapporto, fino a esaurirsi. Anche gli amici, quelli delle scorribande, non ci sono più. Tanti sono morti, alcuni sopravvivono in carcere, i pochi rimasti cercano di chiudere in pace esistenze travagliate.

Gli unici che lo vanno a trovare, per una parola di conforto, ma anche per un aiuto concreto, sono i volontari di due associazioni: ’Il Gabbiano’ e ’Opera in Fiore’. Entrambe avevano dato la disponibilità di un alloggio per ospitare Renato nel caso fosse arrivato l’ok del Tribunale. Perché Vallanzasca, almeno così sostiene, è senza soldi. Non ci sono tesori nascosti frutto delle numerose rapine messe a segno né ha mai incassato i diritti di libri e film ispirati alla sua vita. Per togliersi qualche piccolo sfizio in carcere, utilizza gli euro della pensione sociale (meno di 500 euro al mese).

Probabilmente per queste sue difficoltà finanziarie, Vallanzasca il 13 giugno 2014 ha commesso una sciocchezza che gli è costata carissima. Fuori in semilibertà, si fece pizzicare a rubare in un negozio un paio di boxer, solette per scarpe e una forbice tosaerba per un valore complessivo di 65 euro. Un furto sfociato in rapina impropria perché poi Vallanzasca minacciò il commesso che lo aveva scoperto: "Se fai casini, poi ti faccio vedere che cosa succede". Un errore che gli costò la condanna a 10 mesi di reclusione e, soprattutto, la revoca della semilibertà. Quella che ha chiesto una decina di giorni fa senza successo. Un capitolo a parte lo meritano le guardie carcerarie, con le quali l’ex bandito ha sempre avuto rapporti a dir poco burrascosi, talvolta finiti nelle aule dei tribunali. Invece a Bollate "gli vogliono bene, tutti gli agenti tifano per lui", sottolinea l’avvocato Davide Steccanella, che lo ha seguito (gratuitamente) negli ultimi 4 anni.

Nelle trenta righe indirizzate da Vallanzasca ai giudici non c’è parola, esclamazione, che ricordi la spavalderia e l’egocentrismo che gli hanno permesso di diventare bandito di alto calibro, ma anche personaggio popolare. Anzi, lo scritto evidenzia una presa di coscienza, un’autocritica feroce sulle nefandezze combinate. Mai Vallanzasca si era spinto così avanti. I "pensieri sulla mia vita – scrive – mi hanno sempre accompagnato, così come la consapevolezza dei danni che ho creato. A tutti. Il mio futuro ora potrebbe essere in una comunità, magari per essere utile ai giovani. Potrebbero trarre qualche giovamento dalla mia vita assurda".

Poi c’è la questione perdono. Parola indigesta a Vallanzasca. Non lo ha mai chiesto, pur sapendo che gli avrebbe facilitato la concessione della semilibertà o addirittura quella condizionale. "Lo dico per l’ennesima volta, la mia è una decisione mirata proprio perché trattasi del Silenzio Che Si Deve Come Il Massimo Rispetto Per le Vittime (lo scrive proprio con le maiuscole)".