Terza dose vaccino Covid, l'Ema dà l'ok per gli immunodepressi e over 18

Immunodepressi dopo 28 giorni e over 18 dopo 6 mesi. Ricerca dell’ospedale Santa Lucia Irccs di Roma: "Memoria immunologica dura per anni dopo prima dose". Il Bambino Gesù: "Indispensabile per i più fragili"

Una fiala di vaccino Pfizer-Biontech

Una fiala di vaccino Pfizer-Biontech

Roma, 4 ottobre 2021 - Il comitato per i medicinali umani dell'Ema ha concluso che una dose extra dei vaccini Covid-19 Comirnaty (BioNTech/Pfizer) e Spikevax (Moderna) può essere somministrata a persone con un sistema immunitario gravemente indebolito, almeno 28 giorni dopo la loro seconda dose. La raccomandazione arriva dopo che gli studi hanno dimostrato che una dose extra di questi vaccini ha aumentato la capacità di produrre anticorpi contro il virus che causa il Covid-19 nei pazienti sottoposti a trapianto di organi con sistema immunitario indebolito.

Il bollettino Covid del 4 ottobre: dati e contagi

Per Ema è importante distinguere tra la dose extra per le persone con un sistema immunitario indebolito e le dosi di richiamo per le persone con un sistema immunitario normale. Per quest'ultimo, il CHMP "ha valutato i dati per Comirnaty che mostrano un aumento dei livelli anticorpali quando viene somministrata una dose di richiamo circa 6 mesi dopo la seconda dose in persone di età compresa tra 18 e 55 anni". Sulla base di questi dati, "il comitato ha concluso che le dosi di richiamo possono essere prese in considerazione almeno 6 mesi dopo la seconda dose per le persone di età pari o superiore a 18 anni".

Lo studio Santa Lucia

"La terza dose di vaccino anti-Covid potrebbe non essere necessaria per i sani". È quanto rilevato dai ricercatori del laboratorio di Neuroimmunologia dell’ospedale Santa Lucia Irccs di Roma, a conclusione di uno studio indipendente che ha monitorato per sei mesi dei soggetti che hanno ricevuto entrambi le dosi di vaccino Pfizer-Biontech.  

La seconda dose di vaccino, dimostra lo studio, non produce soltanto gli anticorpi ma anche una memoria immunologica in grado di proteggere a distanza di mesi la persona. La ricerca è stata condotta su un campione di 71 persone. Ai partecipanti, operatori sanitari ai quali sono state somministrate entrambe le dosi di Pfizer-Biontech a gennaio, è stata monitorata la loro risposta immunitaria dalla prima iniezione di vaccino. Una risposta cellulare che si è mantenuta a distanza di sei mesi dalla prima dose, individua lo studio, come conferma la presenza nel sistema immunitario del campione di linfociti T, le cellule attivate dalla proteina Spike del Coronavirus indotte dalla vaccinazione. 

"I nostri dati confermano che già dopo la prima dose si innesca la risposta delle cellule del sistema immunitario, che da un lato facilitano la produzione degli anticorpi e dall’altro agiscono direttamente sulle cellule infettate da virus", spiega Giovanna Borsellino, neuroimmunologa e direttrice del laboratorio di Neuroimmunologia dell’ospedale romano. "L’aspetto importante osservato – prosegue la direttrice – è che viene generata la memoria immunologica, anche grazie alla presenza delle cosiddette cellule staminali della memoria, ossia un bacino di cellule longeve e specifiche per il Coronavirus che possono rapidamente espandersi per contenere l’infezione".

Il laboratorio ha quindi individuato che "analogamente agli altri vaccini la presenza della memoria immunologica potrebbe durare diversi anni, confermando da una parte l’efficacia della protezione del vaccino e dall’altra la necessità di effettuare un’eventuale terza dose solo a soggetti immunodepressi, come indicato dal Comitato tecnico scientifico", conclude Borsellino. Lo studio fa parte di una più ampia missione che valuta la risposta al virus in persone colpite da Sclerosi multipla che assumono una terapia immunomodulante o immunosoppressiva.  

Lo studio del Bambino Gesù

Anche l’ospedale pediatrico Bambino Gesù ribadisce che la terza dose è imprescindibile per gli immunodepressi. Lo confermano tre studi condotti su tre diverse categorie di soggetti fragili: pazienti affetti da immunodeficienza primitiva, sottoposti a trapianto di cuore e polmone e che hanno avuto un trapianto di fegato e rene. Le ricerche individuano che tre pazienti su dieci non rispondono al vaccino anti Coronavirus e sette su dieci sviluppano anticorpi e linfociti T dopo la seconda dose ma in quantità inferiori rispetto alle persone sane.  

"È indispensabile proteggere le categorie più fragili somministrando la terza dose di vaccino, calibrando i dosaggi o ricorrendo a nuove formulazioni vaccinali adiuvate in grado di potenziare la risposta immunitaria al virus e mantenerla nel tempo" sottolinea Paolo Palma, responsabile di Immunologia clinica e Vaccinologia del Bambino Gesù. "Al tempo stesso è necessario raggiungere una copertura vaccinale quanto più estesa possibile. Il rischio di infezione è maggiore tra i bambini e i ragazzi immunodepressi. Ognuno di noi, con il proprio vaccino, è responsabile anche della loro salute", conclude l’immunologo. Gli studi confermano la sicurezza del vaccino anti Covid-19 anche sulle categorie più fragili: non è stata riscontrata nessuna reazione avversa significativa.