Vaccini fatti in casa? L’Italia è ferma ai box

La Thermo Fisher di Monza sarà pronta con Pfizer solo nella seconda metà dell’anno Gli esperti: ci servono mesi

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ROMA

Gli altri partono. Da ultimo Olanda e soprattutto Germania. Via con le nuove produzioni di vaccini in casa. Il super stabilimento Pfizer-BioNtech a Marburg ha appena ricevuto il via libera dell’Ema, l’autorità europea del farmaco, pronto a sfornare fino a 2 miliardi di dosi. E l’Italia? Siamo ancora a zero. Mentre il premier Draghi ha indicato una rotta chiarissima: "Usciamo dalla pandemia con la produzione dei vaccini".

Quindi la mancata autonomia ci condanna a un ritardo nella campagna? "Inevitabile – risponde Americo Cicchetti, direttore dell’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari alla Cattolica –. Sappiamo bene che ancora per mesi nessuno sarà in grado di produrre vaccini in Italia. Cosa che ci darebbe il vantaggio di poter dire, ce ne teniamo una certa quantità. Un risparmio per la stessa azienda, che ridurrebbe i costi di trasporto". Euler Hermes (Allianz) a febbraio ha monetizzato i giorni persi: all’Italia ogni settimana di lockdown mirati costa due miliardi. Cicchetti mette un paletto: "Intanto è fondamentale produrre vaccini che siano approvati dall’Ema. L’idea di partire con lo Sputnik va benissimo ma non aiuta la campagna vaccinale". Perché il via libera ancora non c’è.

Eppure siamo il primo produttore di farmaci nella Ue, come ha sempre ricordato Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria e di Janssen Italia, del gruppo Johnson & Johnson (quel siero arriverà dal 16 aprile). Ma a che punto è la ricerca delle aziende candidabili, a un mese dall’incontro con il ministro Giorgetti? Il numero uno di Farmindustria ricorda la Thermo Fisher di Monza (ha annunciato che partirà "nella seconda metà del 2021" con Pfizer, ndr) "ma ci sono altri in via di valutazione. Il percorso è complesso. Parliamo di un prodotto biologico. Dobbiamo capire se le tecnologie a disposizione sono compatibili con quelle che servono per questi nuovi prodotti".

Da presidente e ad di Janssen Italia, come si spiega che siamo rimasti tagliati fuori dal giro? "Non siamo fuori in generale – corregge –, è che non abbiamo chi produca questo vaccino". Sul sito dell’Oms ci sono più di 260 sieri allo studio, "era impensabile capire quale sarebbe arrivato in fondo". Quindi mette in guardia: "L’autonomia di paese non esiste. Le produzioni, come la ricerca, sono processi globali. Ci dobbiamo dare una mano. Per ogni vaccino servono decine di componenti. Non abbiamo tutto in casa".

Alla Catalent di Anagni (Frosinone), che oggi infiala Astrazeneca ma ha in progetto di costruire "un nuovo impianto per produrre sostanza attiva biologica" – quindi vaccini, proteine e anticorpi monoclonali, operazione da 15-21 mesi – fanno un esempio chiaro di questa complessità. Prendi i bustoni di plastica usa e getta "da mille, duemila, quattromila litri usati per far crescere le cellule. La produzione è andata in crisi perché la domanda è cresciuta a dismisura". Anche questo è un ostacolo sulla via del siero anti Covid. Fatta la premessa, l’analisi è severa: se in Italia siamo a zero è soprattutto perché "c’è stato un lento declino negli ultimi 20 anni. Eravamo il più grande esportatore di sostanza attiva quando questa veniva da sintesi chimica. Non abbiamo spostato il know how verso la produzione biotecnologica. Come invece hanno fatto Germania, Svizzera...". Niente da fare: torniamo sempre al punto di partenza.

Rita Bartolomei