Mercoledì 24 Aprile 2024

Le ansie degli universitari. Uno su 3 mente sugli esami. "Troppe pressioni e aspettative"

La ricerca: il 25% rivela che se venisse scoperto dalla famiglia potrebbe pensare al suicidio Lo psichiatra Crepet: "I genitori costringono i figli a cercare la laurea, così sono in trappola"

I dati dell'indagine sugli studenti universitari

I dati dell'indagine sugli studenti universitari

"Non si può morire di università, troppi studenti sono stati vittime della pressione e della narrazione tossica di un’università in cui è esaltata la retorica di un’eccellenza irraggiungibile, di uno standard surreale. Facciamo parte di una generazione cresciuta con la crisi economica e con il Covid e che ha paura del futuro, perché saremo la prima ad avere una condizione peggiore di quella che ci ha preceduto: un aiuto è necessario", aveva detto la studentessa Emma Ruzzon, all’inaugurazione dell’anno accademico numero 801 dell’Università di Padova. Gli universitari sono sempre più attanagliati da pressione sociale, aspettative dei genitori, paura del fallimento. Fattori che innescano un disagio molto più generalizzato di quanto ci raccontino le tragedie a cui assistiamo periodicamente. Un universitario su 3 ammette di aver mentito almeno una volta alla famiglia sul reale andamento della sua carriera di studi. E nella metà dei casi – il 16% del totale – la bugia è sistematica e accompagna l’intero, ipotetico, ruolino di marcia. A disegnare questo quadro è il portale Skuola.net, che ha interpellato 1.100 ragazze e ragazzi iscritti all’università. Quasi i tre quarti di loro (72%) confessano che genitori, parenti e amici non hanno un’idea chiara di quale sia il proprio rendimento negli studi. Una situazione che, troppo spesso, si prolunga più del dovuto: il 5% di chi si è infilato nel vortice della bugia la sta portando fino alle soglie della laurea, facendo intendere che la data della discussione della tesi sia prossima, quando invece è lontana; un altro 10% ha dato l’impressione di aver sostenuto più esami di quelli che ha dato. Ampiamente rappresentati, poi, sono quelli che nascondono la reale media dei voti: sono il 38%. C’è un 26% che ha sorvolato su una o due bocciature o su qualche voto basso, mentre il 16% sulla frequenza delle lezioni. Il fenomeno delle aspettative deluse degli universitari è più ampio. Il 31% racconta di sentire il fiato sul collo da parte della famiglia eil 43% avverte una vera e propria "pressione sociale".

Professor Paolo Crepet, gli studenti universitari subiscono la pressione sociale, le aspettative dei genitori e la paura del fallimento. Cosa succede?

"Parliamo di adolescenti che per tutta la vita hanno ricevuto solo ’sì’ e avuto un’esistenza facilitata. Così al primo ostacolo vagamente severo e valutativo, si sentono inadeguati. La debolezza strutturale è evocata e invocata dagli adulti".

Per il 10% la realtà parallela diventa un tunnel dal quale è impossibile uscire. Spesso nei casi più complessi c’è il gesto estremo come epilogo. Come uscire da questa prigione?

"Bisogna capire cosa cerca quel ragazzo nella sua realtà parallela. Cosa gli manca? Da che punto di vista non è capito? Io allo studente chiederei: hai paura a descriverti?".

Nel 70% delle situazioni i genitori non conoscono la reale situazione accademica dei figli. Se i ragazzi non avessero paura di affrontare la verità, sarebbe normale.

"Il rapporto famiglia-scuola in questi ultimi anni si è ridotto a una sorta di Grande Fratello: il registro elettronico è una delle realtà più spaventose che abbiamo potuto immaginare, spinge alla totale deresponsabilizzazione degli individui. Se il bimbo prende un 4 e in un nanosecondo lo sa il cugino in America, lo studente si sente iper controllato e dunque deresponsabilizzato perché ritenuto incapace, quindi non saprà come recuperare. E si arriva all’università da irresponsabili".

Molti ragazzi arrivano a togliersi la vita per paura di raccontare che non sono vicini alla laurea. Come è possibile?

"Per fortuna non è la norma. Spesso manca una forma di comunicazione seria e matura coi genitori. Poi c’è il paradosso della facilitazione che porta le famiglie ad alzare l’asticella delle aspettative perché, appunto, si crede la strada spianata".

I figli non sono abituati a dire la verità forse perché sono stati cresciuti così?

"L’educazione all’omissione o al cambiamento dei connotati esistenziali c’entra con la cultura dei social media. Parlo ad esempio dei filtri di Instagram, che ti rendono più figo. Ci si adatta a una vita finta, dove il segno reale è uno svantaggio e si è portati a mentire".

Il 10% è stato costretto a fare l’università e il 21% avrebbe voluto seguire un altro corso di laurea: significa che tre studenti su dieci stanno facendo qualcosa contro il loro volere e sono infelici.

"Un altro dato catastrofico. È evidente che se costringi tuo figli a fare l’avvocato, sarà un avvocato incapace. Se un ragazzo avesse davanti agli occhi esempi, tra famiglia-parenti-amici, che rappresentassero la passione, come una strana zia poetessa, sarebbe ispirato dalla passione. Non ci sono più i modelli di riferimento, perché a loro volta i genitori hanno subito la pressione dei nonni: è una ‘genetica’ della sconfitta".

La doppietta liceo-università pianificata dai genitori forse non è la reale aspirazione dei figli e non risponde nemmeno alle esigenze del mercato del lavoro?

"Il progresso tecnologico volge a uno scenario di tesine fatte dall’intelligenza artificiale".

Scegliere percorsi formativi meno accademici e più pratici, che potrebbero colmare tanti posti di lavoro lasciati vuoti, forse sarebbe un percorso migliore per tanti giovani?

"Sì, bisogna scegliere percorsi mirati. Ci sono lavori dignitosi che non prevedono studi universitari. Dagli operatori della salute all’artigianato raffinato. Molti studenti non sanno cosa sia un orologiaio. Se sapessero che anche Adriano Celentano lo è...".