Si è accanita sul corpo della figlia. Undici colpi. Undici coltellate vibrate senza pietà contro quella figura indifesa attirata in campagna con un tranello o, forse, scannata dopo essere stata sedata. Poi l’ha lasciata ancora viva, agonizzante per un’ora. Mentre lei, la Medea di Mascalucia, imbastiva la messinscena del rapimento da parte di una banda di incappucciati, allarmando l’ex compagno e i carabinieri, la piccola Elena Del Pozzo, 5 anni, moriva dissanguata per la rottura dell’arteria succlavia tranciata da un mortale fendente, coperta da cinque fetidi sacchi neri in una campagna ostile, dentro una buca scavata dalla madre o da chissà chi. L’autopsia conclusa all’ospedale Cannizzaro di Catania ci restituisce un altro tassello della dinamica dell’infanticidio commesso da Martina Patti, 23 anni, aspirante infermiera. Ma ogni volta che ci si inoltra nel tunnel di quest’orrore, ecco che si aprono nuove botole, si propongono nuovi interrogativi, aggiunti a quelli delle prime ore. I "non so, non ricordo" di Martina sono ormai tanti e spingono la giudice delle indagini preliminari, Daniela Monaco Crea, a convalidare il fermo disposto dalla procura ed emettere un’ordinanza di custodia cautelare in carcere ipotizzando i reati di omicidio premeditato e pluriaggravato e occultamento del cadavere. In attesa di trovare l’arma del delitto – un coltello da cucina o una lama molto appuntita – alcuni rilievi tratti dall’autopsia sembrano chiarire la trama di questo delitto orribile. Martina va all’asilo a prendere Elena, sono le 13. La bimba ha già mangiato poco prima, vanno a casa e qui la piccola chiede un budino e lo mangia mentre guarda i cartoni sul telefonino della mamma. A questo punto, Martina decide di uscire, di portare la bimba dalla nonna. Poco prima delle 14 si interrompe la ricostruzione di Martina: come sono finite in quel campo, distante oltre mezzo chilometro? In macchina, ...
© Riproduzione riservata