Una sola verità: era un boss e faceva paura

Matteo

Massi

Il dibattito se Matteo Messina Denaro si fosse consegnato o meno, probabilmente ieri si è chiuso definitivamente. Tra dietrologi di lungo e nuovo corso e appassionati di cospirazioni – cui i misteri d’Italia offrono (da sempre) il destro – dal giorno dell’arresto sono state partorite le tesi più disparate per affermare che il boss era malato, debole e solo. Sul malato non ci sono dubbi al riguardo, come dimostrano le cartelle cliniche. Sul fatto che Messina Denaro fosse debole e solo invece, la realtà smentisce le tesi più disparate.

Ieri mattina è stata arrestata la sorella Rosalia che abitava da sola, a differenza delle altre sorelle, e che oltre a essere la contabile dell’holding (con relativo welfare) criminale che Messina Denaro aveva costruito, custodiva anche i segreti del boss. A partire proprio da quello sanitario: il tumore e le cure chemioterapiche sotto falso nome. Il 6 dicembre il blitz dei carabinieri nell’abitazione della donna per piazzare microspie e trovare conferme all’ipotesi d’indagine con il ritrovamento del pizzino che avrebbe portato poi i Ros diritti alla clinica della Maddalena, a Palermo il 16 gennaio.

Ora, piccola pausa: come sempre succede in questo Paese c’è chi (a questo punto) avrà l’ardire di sostenere che tutto quello che è stato appena raccontato è stato accuratamente ricostruito, come una sceneggiatura di una fiction, subito dopo l’arresto di Messina Denaro, per darla così in pasto a un popolo di creduloni. Liberi di credere agli asini che volano e alla resa volontaria del boss. Sta di fatto che la realtà dice tutt’altro e che per tornare alla presunta debolezza del boss, il boss non era affatto debole. E nemmeno solo. Perché aveva il pieno controllo del suo territorio che gli ha garantito la latitanza tra complici silenzi e quelli invece dettati dalla paura: Messina Denaro a casa sua continuava a fare paura e, come dimostrano i pizzini ritrovati, a gestire indisturbato le operazioni.