Un vagone per sole donne? L’idea ha senso

Lucetta

Scaraffia

Se dovessi viaggiare su uno di quei treni delle ferrovie nord che, verso sera, sono quasi vuoti e dove quindi le donne corrono il rischio di violenza, e mi chiedessero cosa vorrei che venisse fatto per poter affrontare il viaggio senza paura, certo non mi dilungherei a proporre che gli uomini venissero educati a non nuocere, a non ricorrere alla violenza. Oltre al fatto che credo sia una speranza utopistica, anche se fosse possibile sarebbe senza dubbio un cambiamento che richiede anni per realizzarsi, anche molti anni. Non proteggerebbe il mio viaggio di oggi.

Potrei anche rispondere che vorrei fosse assicurata una presenza della polizia su ogni convoglio, ma so già che anche questa condizione non è realizzabile. Pare che non sia neppure realizzabile molto meno, cioè ottenere la presenza costante di un controllore che tiene d’occhio i passeggeri sul treno, a causa del taglio di personale imposto da scelte economiche negli ultimi tempi.

Allora ripiegherei sulla proposta – da molti, in primis il governatore della Lombardia Fontana – rigettata con sdegno: destinare un vagone solo alle donne, preferibilmente il primo, che è in contatto con il macchinista. Così le poche donne che viaggiano potrebbero riunirsi lì e, insieme, far fronte ai malintenzionati. Certo, non è un’idea brillante, non è risolutiva, ma può funzionare subito e dare un po’ di sicurezza a coloro che quel viaggio lo devono proprio affrontare.

Il vagone delle donne non è certo comparabile alla creazione di un ghetto: qui la scelta di riunirsi sarebbe volontaria, reversibile, in un certo senso simile al separatismo femminista. Ma forse a qualcuno dà fastidio che questo vagone per sole donne ricordi a tutti che le donne sono veramente diverse dagli uomini, e talvolta incontrano alcune difficoltà se vogliono – o devono – comportarsi come loro e viaggiare da sole di notte.