Giovedì 18 Aprile 2024

Un po’ guardoni, un po’ esibizionisti Quanto ci piacciono le autobiografie

Di Maio, Baresi, Manara, Muccino: politici, sportivi e artisti. L’effetto selfie stravolge un genere letterario

di Viviana

Ponchia

Andiamo pazzi per le vite degli altri. E non vediamo l’ora di raccontare la nostra. Guardoni ma anche esibizionisti (così ci vuole la rete), non possiamo stupirci se siamo arrivati ai limiti della sostenibilità autobiografica.

Autobiografia come destino e condanna di un tempo che ha fatto dell’Io il suo centro di gravità e del pettegolezzo la sua mela. Urgenza di raccontare le cose solo perché sono accadute (già basterebbe) e non perché abbiano senso. Ne esce una quasi ogni settimana. Addirittura c’è chi la compra. Il fenomeno si autoalimenta nel ping pong sbrigliato di calciatori, cantanti, politici, magistrati. Ieri Giorgia Meloni (5 edizioni, più di 100 mila copie) poi Ilda Boccassini (grandinata di rivelazioni su cui fare i conti domani). E Baresi, Zenga, il figlio di Zenga, il figlio di Domenico Modugno, Francesca Neri, Oscar Farinetti, Milo Manara, Eugenio Scalfari, Romano Prodi, Gabriele Muccino. Aneddoti, selfistica scritta. Inesorabile epopea che dilata il tweet, la storia su Instagram, le lauree e i matrimoni cari a Zuckerberg. Tanti ego caricati a pallettoni incombono da opere spesso monumentali (Never quiet del fondatore di Eataly ha 560 pagine e pesa quasi un chilo e mezzo) dove a fare da cardine è il trauma non risolto, il colpo di genio o banalmente una cistite.

Leo Longanesi, che non era uno paziente, non aveva pietà nemmeno per i grandi: "Leggo il secondo volume delle Memorie di Churchill. Quell’io che salta fuori a ogni riga, quell’io scritto a lettere minuscole ma pensato in grande, quell’io con il sigaro in bocca, alla fine spinge a sperare in una vittoria di Hitler. Non per nulla: per dare una lezione di modestia a Churchill".

I francesi la chiamano "scrittura del sé", gli americani "memoir". Chi ci casca dice che a cominciare è stato Sant’Agostino con le sue Confessioni dimenticando i Tristia di Ovidio. E poi Dante, Petrarca, Machiavelli, su fino ai ricordi della influencer friulana Taylor Mega e Il mondo a colori della travel blogger Federica Xotti "una tavolozza davanti e una vita da dipingere fra la Patagonia e il Senegal" prima che incombano i trenta.

Se Pietro Abelardo si sfogò con Storia delle mie disgrazie, perché noi no? La necessità di raccontarsi è un bisogno da prendere sul serio e nessuno si lascia intimorire dai precedenti illustri. Proust si è liberato con La Recherche, Joyce con Dedalus, Svevo con le ultime sigarette di Zeno: e allora? Allora la Boccassini può rivelare di essere stata innamorata di Falcone. Serve fegato per raccontarsi nero su bianco, anche se a qualcuno basta una tastiera o un ghost writer (non tutti però possono permettersi J.R. Moehringer, autore dell’autobiografia di Andre Agassi, Open).

E a volte sarebbe sufficiente un titolo, benedetti calciatori votati alla sintesi e alla bellezza assoluta di Se uno nasce quadrato non muore tondo (Ringhio Gattuso), Il pallone lo porto io (Luciano Moggi).

"Voglio un’autobiografia che non riveli alcuna informazione personale" scherzava Diana Ross. E quell’incosciente di Jeffrey Bernard, giornalista inglese noto per la verve e il caotico abuso di alcol, invitava il suo pubblico a dargli una mano: "Mi è stata commissionata un’autobiografia e sarei grato se qualcuno fra i lettori potessi dirmi cosa stavo facendo tra il 1960 e il 1974".

Come Luigi Di Maio, lo scienziato Stephen Hawking invece ha fatto tutto da solo: benché completamento paralizzato dalla Sla è riuscito a portare a termine My Brief history con l’aiuto di un computer a raggi infrarossi che leggeva i movimenti del muscolo della guancia, una parola al minuto, dall’infanzia ai buchi neri.

L’unico vero problema dell’autobiografia è: ha senso scrivere una storia quando non se ne conosce la conclusione? La studiosa Maria Anna Mariani ne dubita: "Pretendere di farsi giudici di se stessi prima della fine è una violenza interpretativa. Solo la morte può conferire una forma definitiva alla vita". L’autobiografo da 100 mila copie comprende la gravità, ma riesce a farsene una ragione.