Un modo diverso di celebrare i nostri morti

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Andrea

Bonzi

Essere pronipote di una strega ha il suo fascino. Tanto che migliaia di americani stanno passando al setaccio il proprio albero genealogico a caccia di un legame di sangue con una (presunta) fattucchiera, o meglio una delle troppe donne condannate e morte sul rogo nel XVII secolo. L’epicentro di questa nuova moda è Salem, la città dei processi alle streghe per antonomasia, e il periodo non poteva essere che quello giusto: Halloween.

Da alcuni anni, anche in Italia festeggiamo questa versione celtica di Ognissanti: il 31 ottobre gruppi di ragazzini girano per le case a chiedere una manciata di caramelle o cioccolatini ("Dolcetto o scherzetto?"). Se spiate nelle terrazze, spuntano zucche col classico ghigno halloweeniano, o qualche ragnatela di zucchero filato. Una festa gotica che affascina anche gli adulti, che colgono l’occasione per travestirsi da zombie, vampiri e mummie viventi, o per trovarsi e guardare film horror.

La critica è nota: Halloween è una festa importata, la solita pacchianata che arriva da Oltreoceano. A parte che l’origine è irlandese – il nome deriva da All Hallows’ Eve, la Notte di tutti gli spiriti sacri –, ma il legame con il nostro giorno dei defunti (2 novembre) è evidente.

Da decenni, poi, l’immaginario occidentale è influenzato da fattori commerciali (pensate a Babbo Natale e a una nota bibita gassata). Giusto esserne consapevoli, ma sbagliato scagliarsi contro una celebrazione dei morti che passa attraverso una manifestazione di allegria.