Un leader poco moderno E un’idea di sinistra superata

di Raffaele

Marmo

Si farebbe torto alla storia, ma anche alla memoria di Enrico Berlinguer, se, a cent’anni dalla nascita, lo si richiudesse nell’icona santificata di "Enrico", nella figura-santino di una generazione di giovani comunisti che, nel collocarlo sull’altare come mito dell’innovazione di sinistra, ha finito per volere salvare, forse inconsciamente, almeno un pezzo di una fede politica sconfitta dalla caduta rovinosa di quella ideologia.

Berlinguer è stato certamente un leader politico di notevole spessore, che ha tenuto rigorosamente la barra dritta rispetto alle derive gruppettare e dell’estremismo extraparlamentare di sinistra, combattendo con vigore il terrorismo. E, allo stesso tempo, da capo del più grande Partito comunista d’Occidente ha avuto la lungimiranza di comprendere che la salvezza della democrazia in Italia passava anche dal compromesso storico e dalla collocazione occidentale del Paese.

Berlinguer, però, è tutt’altro che un innovatore. Non lo è sul versante dei diritti civili e del costume: la morale della Chiesa comunista non è, durante la sua guida del Bottegone, tanto differente da quella della Chiesa cattolica. I referendum su aborto e divorzio sono stati passaggi più subiti che promossi. Il femminismo non è certo nel suo orizzonte politico-culturale e questo anche senza scomodare il controverso aneddoto su Maria Goretti modello per le "brave e morigerate compagne". Ma non è nella sua prospettiva neanche il dialogo con le pressanti istanze giovanili del ‘68 o del ’77. E, non è un caso, che una cifra della sua azione sia la politica dell’austerità, che non è altro che la versione economica del moralismo berlingueriano.

A suo merito viene ascritto l’avvio dello strappo con Mosca, ma questo avviene in mezzo a molteplici ambiguità di rapporti (anche finanziari) con il Partito-guida sovietico che si trascinano anche oltre la sua morte. E, del resto, non è stato mai messo in discussione da lui il "centralismo democratico".

È del tutto discutibile, d’altra parte, la sua capacità di comprendere e guidare la modernizzazione del Paese. Lasciamo perdere le sue perplessità sulle autostrade o sulla televisione a colori. Ma di sicuro la battaglia (persa) nel referendum sulla scala mobile contro Bettino Craxi è il segno di un fallimento di percezione degli stessi umori della base operaia. Ma è anche il segno dell’incapacità di costruire davvero quell’alternativa di sinistra che non può che avere come interlocutore il Psi di Craxi: che, al contrario, lui considera alla stregua di un "capo di una banda di avventurieri", come lo definisce Tonino Tatò nelle sue lettere. E i risultati per l’evoluzione di tutta la sinistra italiana si sono visti. L’alternativa alla Dc resterà la chimera storica dei partiti della sinistra italiana. E, a inizi anni Novanta, Tangentopoli spazzerà via ogni residuo sogno di riformismo unitario.