Mercoledì 24 Aprile 2024

Un capriolo, il caso e il destino

Davide

Rondoni

Ci sono notizie su cui non vorremmo soffermarci. Ma i poeti fissano la vita. Sono le notizie meno gestibili, meno inseribili negli schemi che usiamo per fingere di ammaestrare la vita. Ad esempio la notizia di Enrica, 49 anni, morta a causa di un capriolo investito sull’autostrada. Innocente lei, innocente il capriolo. La morte una grande ingiustizia di cui è impossibile cercare un responsabile. Il caso, il destino? Certo subito sono partite le polemiche sulla gestione della presenza degli animali selvatici. Ma appunto, sono selvatici. Natura allo stato brado. E la natura, nonostante la retorica dei naturalisti di ogni secolo e del nostro tempo così innamorato del “bio”, dell’ecologia, del nuovo idolo green chiamato “pianeta”, non è un gingillo carino, ma una forza terribile.

La natura non è nostra madre. Sembra darci la vita ma anche togliercela con noncuranza (con attraversamenti di caprioli o virus pandemici). Su tale paradosso hanno meditato filosofi e poeti. E di fronte a fatti come quelli della dolce povera Enrica tutta la retorica sul “naturale è più bello” vacilla. Tutta la retorica sul “naturale” o “green” che ha invaso la pubblicità ma anche documenti governativi e campagne elettorali vacilla paurosamente. Il capriolo era natura, era green. È naturale morire. Anche senza colpe, in un incidente assurdo. Come vivere allora questo paradosso? Non pensandoci? Seguendo le mode ? Chiudendosi in un fatalismo tanto cinico quanto comodo? Oppure ascoltare il suggerimento di Leopardi che in quel testo cristianissimo de “La ginestra” invita l’uomo a star nella vita non in modo superbo, non confidando in vane “magnifiche sorti progressive” che eliminino il dolore, ma ad esser “mendìco”, mendicante. Ovvero a chiedere al Mistero di svelarsi, riconoscendo la propria piccolezza. Questo non toglie il dolore ma ci mette alla ricerca del senso, e non fa vivere distratti o paralizzati.