Un anno da soli. Stare distanti ci ha logorati

Pentiti dello smart working

Quasi la metà degli italiani ora boccia il lavoro da casa. Lo svela una ricerca della Fond

Quasi la metà degli italiani ora boccia il lavoro da casa. Lo svela una ricerca della Fond

Udite udite: un lavoratore su due boccia lo smart working, sostiene la ricerca della Fondazione studi dei consulenti del lavoro. E’ alienante e dà problemi anche a casa, si lamentano gli intervistati. Allora è proprio vero: non è svanita la speranza di tornare a essere persone normali. Sia chiaro, nell’emergenza l’ufficio remoto si è dimostrato addirittura provvidenziale, salvando i conti di più di un’azienda e risparmiando da tagli feroci migliaia di stipendi. Ma lo smart working non è la stessa cosa del lavoro (nessuno si offenda) normale, soprattutto se in ufficio non si torna proprio mai. Alla lunga stufa. Per capire le cose, per prendere decisioni sperando che siano giuste, per creare, il contatto umano è fondamentale. Uno sguardo vale più di mille discorsi. E una frase pronunciata con una certa intonazione dice esattamente il contrario del suo significato letterale. Insieme si fa di più, a volte si fa meglio. Del resto, se colossi del calibro di Microsoft e Google hanno già detto ai loro dipendenti che, signori, da settembre si torna in presenza, beh allora una ragione ci sarà. Peraltro, chi sta perennemente a casa rischia di imbruttirsi: ci si lava meno, farsi la barba diventa una fatica evitabile. E poi, per una volta, pensiamo a quelli che non hanno alternative. La cassiera del supermercato, il camionista e l’operaio metalmeccanico, tanto per dire. Loro a casa non possono restare se non da licenziati. La vita, insomma, non è sempre smart. Proviamo ad accettarlo.