Un abbraccio non è mai per sempre

Bruno

Vespa

Pochi ricorderanno che nel 1996 la desistenza dell’Ulivo con Pino Rauti (dico Rauti) fece conquistare a Prodi la maggioranza assoluta necessaria a formare il governo (che Bertinotti fece cadere). L’alleanza tra Pd e 5 Stelle in 18 capoluoghi di provincia nelle elezioni di domani non è certo frutto di affinità ideologiche, essendo i due partiti radicalmente divisi su quasi tutto. Ma è indispensabile per tentare di battere il centrodestra: ci si tura il naso e si va avanti. A destra le divisioni prevalgono, nonostante non siano gradite all’elettorato. (La stessa cosa accade a sinistra da sempre: guai a perdere un comune, una regione o un seggio parlamentare perché qualcuno fa lo schizzinoso).

Faremo il bilancio tra due settimane. Nella pur lontana prospettiva delle elezioni politiche, sembra esserci tuttavia una ritrovata convergenza sulle regole del gioco: chi avrà un voto in più sarà candidato alla presidenza del Consiglio.

Per allearsi con i 5 Stelle senza i vincoli coniugali del maggioritario, Enrico Letta dovrà rivedere le sue antiche preferenze per questo sistema e tentare la carta di un ritorno in extremis al proporzionale. Ci si presenta divisi e poi si costruisce la maggioranza in Parlamento. Gli elettori non sono tanto contenti di non sapere in anticipo chi li governerà, ma tant’è. Dinanzi ai timori di Giorgia Meloni di vedere un gioco simile anche a destra, Berlusconi e Salvini le hanno promesso fedeltà eterna indipendentemente dal sistema elettorale. I sondaggi dicono che il centrodestra raggiungerebbe comodamente la maggioranza anche in questo caso. In undici mesi – perché tanti ne mancano alle elezioni politiche – può accadere davvero di tutto, come dimostra l’esperienza degli ultimi quattro anni. Allo stato attuale delle cose, sta a Enrico Letta costruire con Giuseppe Conte un credibile programma di governo e sta a Berlusconi, Salvini e Meloni dimostrare una coerenza degna del loro elettorato.