Fermare gli ultras, il primo passo: riconoscimento facciale negli stadi

L’Italia non è stata capace di emulare il modello Thatcher anti-hooligans. De Siervo, presidente della Lega di Serie A: "Da noi basterebbero due anni per fare come gli inglesi. Ma serve il via libera del Garante della Privacy"

Roma, 10 gennaio 2023 - La grande illusione è figlia della tecnologia. Il fatto che negli stadi italiani vi siano più telecamere che seggiolini e sofisticatissimi microfoni direzionali per monitorare anche le parole, ha ingenerato la convinzione che in qualche modo il problema fosse risolto. E cioè che quei padronati a regime totalitario che sono le curve italiane – governate con pugno duro e nel peggior stile militare – si sarebbero dissolti con l’utilizzo di un Grande Fratello. E invece, è successo che, violenze all’interno dello stadio a parte – e non è poco, intendiamoci – nulla è cambiato. L’amaro calice risbuca ogni tanto e lascia tutti di stucco.

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Gli scontri corpo a corpo sull'A1 tra tifosi del Napoli e della Roma
Gli scontri corpo a corpo sull'A1 tra tifosi del Napoli e della Roma

È successo alla fine dell’ottobre scorso, quando migliaia di tifosi della Curva Nord di San Siro sono stati costretti dagli ultras minacciosi ad abbandonare il proprio posto in segno di lutto per l’uccisione del capo ultrà Vittorio Boiocchi, 26 anni di carcere e dieci condanne alle spalle. Boiocchi, secondo le indagini , si sarebbe spartito con i capi della curva milanista il business dei parcheggi "da 80mila euro al mese", dice lui in una intercettazione. E non solo: c’è anche l’ombra del ricatto ad alcuni dirigenti interisti nel ’business’ della compravendita dei biglietti.

Quando capitano queste cose, si ripiomba nel passato più oscuro del calcio italiano, quello delle violenze, dei soprusi, dello ’Stato nello Stadio’ e riscopriamo come i templi del pallone siano nelle mani di spacciatori, mafie, criminali. Che lì fanno business, sia chiaro, più o meno lecito, con i club impotenti o costretti a ’collaborare’.

Poi però, tutto finisce nel dimenticatoio e magari succede che il ’Bocia’ Claudio Galimberti, capo ultras dell’Atalanta con qualche Daspo alle spalle (una ventina) te lo ritrovi in Senato a parlare della revoca del Daspo nonostante sia un sorvegliato speciale dal Viminale. Non è uno scherzo, è successo nel 2016.

E allora si cercano misure per scardinare lo ’Stato nello Stadio’ che di solito finiscono nel cestino. Certo, trattandosi di lotta dura (almeno nelle intenzioni) è chiaro come le proposte siano altrettanto ’toste’ e si prestino a dibattito e critiche. Sono anni che l’energico amministratore della Lega di Serie A, Luigi De Siervo, insegue uno strumento che secondo lui risolverebbe un bel po’ di problemi: il riconoscimento facciale. Diceva, De Siervo nel 2019: "Stiamo potenziando le telecamere di sicurezza negli stadi individuando un software di riconoscimento facciale per capire l’anagrafica delle persone, come si chiamano e dove sono seduti. Faremo in due anni ciò che Margaret Thatcher ha realizzato in dieci". E poi: "Dovremmo avere l’autorizzazione del Garante della privacy...". Fatto? No. Il problema della privacy pare insormontabile anche rispetto alla certezza della sicurezza negli stadi.

Poco prima di Natale, cioè tre anni dopo la prima proposta, De Siervo è tornato alla carica, anche se la sua corsa alla misura (che farebbe discutere) pare un’arrampicata sull’acqua saponata. De Siervo, giustamente, cita la Thatcher e il tanto sventolato ’modello inglese’ che con il pugno do ferro tra gli anni ’80 e ’90 introdusse una normativa rigidissima che mise fine allo spadroneggiamento degli hoolingans con tanto di celle negli stadi. Problema risolto, certo, anche se la svolta borghese (stadi tutti rifatti e trasformati in veri e propri teatri) del calcio britannico sa molto di commerciale, oggi, e poco di passione e popolo. E i fuori di testa si sono semplicmente spostati nei parchi, sulle spiagge, nei vicoli per darsele di santa ragione (e magari mettere il video in rete) come hanno fatto i ’nostri’ sull’A1, domenica scorsa.