"Uccise con l’iniezione". Trent’anni all’infermiera

Ravenna, condannata per la morte dell’ex capo del compagno. Nel 2009 lo aveva minacciato: "Spera di non finire tra le mie mani"

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di Andrea Colombari

Prima un ergastolo per il decesso di una sua paziente, annullato in due successivi appelli sconfessati da altrettante Cassazioni, tanto che si è ora in attesa di un appello-ter. Ma anche una condanna, passata in giudicato, per un’incredibile scia di furti in corsia. Nel mezzo, figura pure il licenziamento dall’Ausl Romagna con la richiesta di radiazione dall’albo degli infermieri per due foto che la ritraggono sorridente a pollici alzati accanto a una paziente di 102 anni appena morta. Da ieri mattina la 48enne Daniela Poggiali, ex infermiera dell’ospedale di Lugo di Romagna, deve fare i conti con un’altra condanna: 30 anni di reclusione per l’omicidio pluriaggravato di un secondo paziente, il 94enne Massimo Montanari. I fatti risalgono al 12 marzo del 2014, giorno in cui all’uomo era stato detto che all’indomani sarebbe stato dimesso, visto che l’infezione polmonare per la quale era stato ricoverato, era ormai regredita. E invece verso le 23 era improvvisamente morto. L’arma del delitto, secondo gli inquirenti, è la stessa con la quale la Poggiali avrebbe ucciso la 78enne Rosa Calderoni, morta l’8 aprile del 2014 a poche ore dal ricovero all’ospedale di Lugo: un’iniezione di cloruro di potassio.

La Poggiali, tornata libera dopo il primo appello, non era presente ieri mattina alla lettura della sentenza giunta al termine del rito abbreviato. Per i pm, quella notte con Montanari lei si comportò così: entrò nel settore D, quello dove stava il 94enne, approfittando del fatto che la collega a cui quell’area era affidata, si trovasse impegnata per un ricovero. Quindi si offrì di sostituirla nel giro delle glicemie. E alla fine, nonostante le rimostranze della collega, avrebbe insistito per somministrare di persona la terapia insulinica ai pazienti. Solo un espediente, secondo gli inquirenti, per potere entrare nella stanza di Montanari e iniettargli una dose non terapeutica di potassio. Il tutto segnato da quattro contestate aggravanti: premeditazione, uso di sostanza venefica, abuso di potere e motivi abbietti.

L’imputata, per quanto riguarda l’ultimo punto, avrebbe dato seguito alla minaccia di morte nei confronti del 94enne pronunciata il 3 giugno 2009, quando si era recata dalla segretaria dell’uomo, al tempo datore di lavoro dell’ex compagno: "State attenti te e Montanari di non capitarmi tra le mani", le parole che per la segretaria avrebbe pronunciato.

La testimonianza era stata rilasciata nel corso del processo davanti alla Corte d’Assise di Ravenna per il decesso Calderoni. Il procuratore capo ravennate Alessandro Mancini, oltre a esprimere "soddisfazione, ma solo di tipo processuale" per la sentenza, ha sottolineato che dopo il caso Calderoni "l’attenzione dell’ufficio si era concentrata su 38 casi sospetti", tutti relativi a pazienti deceduti all’ospedale di Lugo quando era di turno la Poggiali: e la scelta è stata di portare a processo il caso Montanari "sul quale abbiamo raccolto elementi che riteniamo incontrovertibili".