Uccisa dal fratello, medici e agenti indagati. "Doveva essere ricoverato"

Il 42enne ha un disturbo borderline. I genitori: "Ci dissero di non farla tragica". Non furono attivate neanche le volanti. La Procura ipotizza l’omissione d’ufficio

Alice Scagni, 34 anni, era sposata e madre di un figlio

Alice Scagni, 34 anni, era sposata e madre di un figlio

Genova, 15 novembre 2022 - Se gli agenti fossero intervenuti anziché rispondere "non famola tragica". Se i servizi sociali avessero almeno voluto accogliere il sospetto che in quel ragazzo qualcosa non andava. Se le cose andassero davvero come dovrebbero (nel dubbio, segnalate. E noi arriviamo), forse Alice Scagni sarebbe ancora viva. I segnali c’erano, da allarme rosso. E sono stati trascurati come beghe di famiglia, dove il pazzoide di turno cerca soldi e minaccia di fare fuori tutti, ma poi non fa fuori nessuno. Poi è sempre troppo tardi. E le tragedie evitabili diventano tragedie compiute. Ora due poliziotti e un medico della salute mentale sono indagati a vario titolo con l’accusa di omissione di atti d’ufficio e omessa denuncia per la morte della mamma genovese di 34 anni uccisa dal fratello Alberto con 19 coltellate di fronte al marito e al figlio di dodici mesi. Un fascicolo parallelo a quello dell’omicidio. Bella soddisfazione.

Era il primo maggio. In mattinata il padre della ragazza aveva chiamato il 112. Non per una paranoia qualsiasi ma per una telefonata registrata in cui il figlio giurava di uccidere Alice e il marito se non avesse ricevuto del denaro. Sono tempi difficili, la gente è portata a esagerare. "Non famola tragica" fu la risposta al secondo tentativo dell’ora di pranzo, quando ai signori Scagni fu detto che la loro casa e quella del figlio non sarebbero state sorvegliate, la situazione non veniva considerata grave e in più mancavano le volanti. Io ti dico che ci vogliono ammazzare e tu non vieni. Quale altra minaccia giustificherebbe un intervento immediato delle volanti? I dischi volanti? Alle 22 Alice era morta.

L’inchiesta si allarga, e per fortuna. Dice Fabio Anselmo, legale della famiglia: "La notizia che finalmente ci sono tre indagati sulle omissioni gravi che si sono manifestate in questa drammatica vicenda non può non farmi piacere, è un primo passo verso l’accertamento della verità". Verità. È che è difficile prendere le misure. Il perito del gip aveva dichiarato Alberto Scagni semi infermo di mente, mentre per la procura all’epoca dei fatti sarebbe stato capace. Il medico dei servizi alla richiesta dei genitori di ricoverare il figlio aveva preso tempo, non importa cosa dicesse la sua biografia psichica. Ecco qua: personalità di tipo antisociale, narcisistico e bordeline complicato dal poliabuso di sostanze psicoattive, leggi alcol e cannabis. Non affetto da schizofrenia, e menomale. E al momento dell’arresto "non in condizione critica da astinenza tale da fare ipotizzare l’esistenza di un’intossicazione cronica".

Seminfermo. Quindi nelle condizioni di sostenere un processo per l’omicidio della sorella, visto che "la capacità di intendere e di volere risultava gravemente scemata ma non del tutto esclusa". I genitori sapevano. I genitori sanno sempre. Ma il medico ha temporeggiato, la polizia non si è attivata. Non sono sbarcati i marziani, dai. "Credo sia giusto e fisiologicamente corretto che i genitori della famiglia Scagni vengano qualificate persone offese", dice il loro legale. E loro lì a ripensare a quella telefonata delle 13 del primo maggio: "Lo sai stasera dove sono Gianluca e tua figlia? Se non trovo i soldi sul conto tra 5 minuti, lo sai dove cazzo sono?". Disperati, impotenti: non è pazzo uno così? "Per noi avere tre indagati equivale a un avanzamento verso la verità – dice Adriana Zarri, la mamma della figlia morta e del figlio assassino – ma questa ci provoca ancora più dolore. La tragedia avrebbe potuto essere evitata". Ne ha persi due, di figli: "Non meritavamo di essere abbandonati a un destino distruttivo".