Massimo
Donelli
Politici, imprenditori, banchieri, giornalisti. Tutti imputati. L’accusa? Aver trascurato la digitalizzazione del Paese. Prima di parlare di smart working, infatti, bisognerebbe vedere come sono conciati gli uffici pubblici; quali dotazioni informatiche personali hanno i dipendenti; su quale collegamento da casa possono contare. E, prima di raccomandare il 75% di insegnamento a distanza, bisognerebbe ricordarsi che le scuole non hanno connessioni internet condivisibili; e, tantomeno, reti intranet in cui docenti e studenti possano parlare senza che la linea cada; con i più poveri incollati, per ore, all’unico schermo disponibile: quello dello smartphone.
Se le cose stanno così, la colpa, appunto, è condivisa. Per esempio, gli industriali possono ignorare il ruolo sociale dell’impresa e non contribuire allo sviluppo digitale? Come si compete senza nuove energie giovani? Ed è forse possibile che scuola e università formino i talenti se da una parte sono inaccessibili e dall’altra risultano off limits per chi non ha una cameretta, un pc e un collegamento come si deve? E le banche, con tutte le loro belle fondazioni? Sanno a chi diede fiducia Amedeo Giannini costruendo Bank of America? Ai poveri. Obbedendo alla corporate social responsibility, non dovrebbero preoccuparsi che in tutte le case ci siano pc e fibra ottica e anticipare i soldi alle famiglie perché provvedano? E i giganti della telefonia (tra gli azionisti c’è Cassa depositi e prestiti, cioè lo Stato italiano)? La politica frena? Si ribellino! Facciano nomi e cognomi. E noi giornalisti? Ci siamo battuti per l’Italia in rete? O siamo corsi dietro al fenomeno mediatico del momento, da Chiara Ferragni a Greta Thunberg? No, la responsabilità non è solo della politica. E ammetterlo, può essere un buon punto di ri-partenza. Poi, si tratta solo di arrotolare le maniche per fare, tutti assieme, sul serio. Chi comincia?