Tutti compatti sul clima Ma ignorano la Cina

Il vertice riacquista la ribalta di un tempo. Perdendo di vista le priorità

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di Cesare

De Carlo

C’era una volta il G7. Anzi c’è ancora. Una sorpresa per chi considerava obsolete, pateticamente irrilevanti riunioni come quella che si apre oggi in Cornovaglia.

Le sette democrazie, fra cui la nostra, hanno smesso da tempo di essere potenti, ricche, influenti. Si suicidarono vent’anni fa quando Bill Clinton fece entrare la Cina nella World Trade Organization. E i destini del mondo non dipesero più dalle loro intese ma dal mostro che noi stessi avevamo creato e la cui invadente prosperità scaturiva dal paradosso di un’economia capitalista calata nella camicia di forza del totalitarismo comunista. Un paradosso appunto. Lo accettammo in nome della globalizzazione. Poi ce ne pentimmo quando ci accorgemmo che esportavamo ricchezza e importavamo povertà.

Infine arrivò il virus sempre dalla Cina. E ora – altro paradosso – la post pandemia e l’acquisita coscienza della crescente minaccia sembrano avere ricompattato la pattuglia degli ex privilegiati. Ecco perché la tre giorni dei capi di Stato e di governo di Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Canada, Giappone riacquista attenzione.

Si rivelerà importante? No, secondo Joe Rush. È l’artista che nella Carbis Bay, di fronte all’hotel della riunione, ha eretto una scultura con i volti dei sette personaggi. E l’ha intitolata Mount Recyclemore. Ironico riferimento al Mount Rushmore in South Dakota. Con una differenza: i volti dei presidenti americani sono in pietra. Quelli del G7 sono in trash elettronico.

Questa è l’amara realtà. I sette Paesi si stanno riprendendo. Ma nulla sarà più come prima. Sono immersi nella spazzatura dei tempi andati. In altre parole la Cina ha vinto la terza guerra mondiale senza sparare un colpo. E anche se sulle sue responsabilità ci sono ormai pochi dubbi, appaiono improbabili sanzioni punitive. Troppo tardi. Le economie sono globalmente interdipendenti.

Questo è il tema dominante del vertice. E lascia sbalordita la prima dichiarazione di Biden, ieri al suo arrivo: il tema principale è il cambiamento climatico. Non la Cina. Non il ritiro dall’Afghanistan dopo una guerra concepita male e condotta peggio. Non la Russia di Putin che incontrerà a Ginevra mercoledì. Non il mezzo miliardo di vaccini attesi dall’America. Non la minimum tax sui giganti del tech.

Il clima? Ok, la Cina è la maggiore avvelenatrice. Ma non è questa la priorità numero uno delle nostre fragili democrazie.