
Chiara Poggi
Garlasco (Pavia), 3 giugno 2025 – Tutti colpevoli di qualcosa, quindi killer in potenza. Dunque vittime. È il paradosso di Garlasco. Parenti, amici, conoscenti: protagonisti e comparse di una scena apparecchiata da inchieste e sospetti come il migliore dei noir.
Per diciotto anni sono state messe a nudo le loro fragilità, e con esse le nostre: carenze affettive, invidie, tradimenti, desideri repressi. Vizi privati che diventano pubbliche colpe. È il riflesso quasi teocratico di un Paese che ha deposto Dio senza un cambio di regime né di rito; uno Strapaese in cui, spenta la fede, si cerca la salvezza nell’aldiquà.
E come ci si salva, su questa terra, se non puntando l’indice contro i peccati altrui? L’uomo morale, diceva Pier Paolo Pasolini, punta lo sguardo soltanto sulle proprie miserie; il moralista, invece, su quelle degli altri. Il moralismo è il più comodo refugium peccatorum. Così gli altri diventano manchevoli, sospetti, giudicabili.
Ma quando si trasfigurano in assassini potenziali? Succede a Garlasco, è successo a Firenze con la storia del Mostro e in tanti altri gialli senza un colpevole accertato o accettato. Succede tutte le volte che si supera il limite della verità, oltre il quale diventa valida qualsiasi teoria. Succede quando il terzo grado di giudizio non è sufficiente per dissipare dalla mente di un altro magistrato ogni ragionevole dubbio. Quando un’indagine, discutibile e discussa, diventa infinita.
È così che si origina il cortocircuito, il nodo contorto di un nastro di Möbius sul quale non si distingue più l’interno dall’esterno, il male dal bene, il colpevole dall’innocente. Una spirale che risucchia tante vite, troppe. Le vite degli altri, spiate e compromesse. Perdute.
E noi, spettatori curiosi e indignati, forse dovremmo posare la prima pietra. O almeno procurarci un alibi.