Venerdì 19 Aprile 2024

Tutti assolti per il delitto Mollicone Bagarre in tribunale: "Vergogna"

Abbracci in aula tra l’ex maresciallo Mottola, la moglie, il figlio e i due carabinieri. Ira dei parenti di Serena. I cinque imputati sfuggono al linciaggio in piazza. Le grida della folla inferocita: "Assassini"

Migration

di Riccardo Jannello

CASSINO (Frosinome)

Tutti assolti. A 21 anni di distanza il giallo di Arce, l’assassinio della diciottenne Serena Mollicone, non ha ancora una risposta. I cinque imputati giudicati dalla Corte d’Assise di Cassino "non hanno commesso il fatto". Hanno avuto ragione i difensori che avevano scomodato il Creatore prima che la giuria si ritirasse in camera di consiglio: "Dio vi llumini e faccia trionfare la Verità", avevano scritto ai giudici togati e popolari. La gente accorsa ad assistere all’udienza non è stata d’accordo: i principali imputati, Franco, Marco e Anna Mottola, sono stati insultati e hanno rischiato l’aggressione fuori dal tribunale. Franco, il patriarca, ex comandante della stazione dei carabinieri per il quale i pm avevano chiesto trent’anni, ha sfidato la platea con un sorriso. "La Procura ha fatto il possibile", hanno dichiarato i magistrati che si preparano all’appello. In aula, oltre ai familiari ancora in vita di Serena e Maria, la figlia del brigadiere Santino Tuzi, la seconda vittima, suicida dopo avere accusato la famiglia del suo comandante, c’erano i genitori di Marco Vannini, il ragazzo lasciato morire nella vasca di casa Ciontoli, la famiglia della fidanzata, che hanno dovuto aspettare parecchi anni per avere giustizia. "Abbiate coraggio e andate avanti", hanno detto alla sorella di Serena, Consuelo.

La Mollicone venne uccisa il 1° giugno 2001 e il corpo ritrovato due giorni dopo. Il responsabile – o i responsabili – non era riuscito a eliminarla in una prima occasione e quando si è accorto che la stava abbandonando in un bosco a 8 chilometri da Arce ancora in vita l’aveva soffocata con un nastro adesivo e con sacchetti di plastica che le chiudevano la testa. Era morta così la povera ragazza, non per le fratture al cranio. Da allora sono iniziate indagini che definire caotiche e inconcludenti è poco. E soprattutto i depistaggi. Sotto processo era finito un carrozziere, Carmine Belli, ma era stato prosciolto. Per molti anni solo l’ostinato desiderio del padre Gugliemo di fare giustizia aveva spinto a nuove indagini. Uno sforzo che gli ha procurato un infarto, lunghi mesi di coma e infine la morte proprio alla vigilia del processo.

A giudizio in cinque con gli inquirenti sicuri che Serena fosse stata picchiata e ridotta in fin di vita nella caserma dei carabinieri di Arce, il suo paese. La tesi: vi si era recata perché aveva dimenticato dei libri sull’auto di Marco, il figlio del comandante, che le aveva dato un passaggio dopo la scuola. Il movente dei Mottola: Serena aveva detto che in paese circolava la droga e Marco ne era il boss. Allora perché accettare il suo passaggio? Il brigadiere Tuzi, sette anni dopo i fatti, confessò che quel giorno aveva aperto la porta a una ragazza, riconosciuta come Serena, che era salita in un alloggio a disposizione dei Mottola e non vi era mai uscita. Per l’accusa le era stata sbattuta la testa contro una porta di legno nella quale è stato ritrovato un buco.

Le indagini di Ros e Ris avevano rilevato molte incongruenze nel racconto dei Mottola e alcune tracce, tanto da portare al loro rinvio a giudizio. I pm avevano chiesto 30 anni per Franco, 24 per Marco – "autore materiale del pestaggio" –, 21 per Anna; inoltre 15 anni per il maresciallo Vincenzo Quatrale, accusato di concorso esterno in omicidio e istigazione al suicidio del brigadiere Tuzi, e 4 per l’appuntato Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento. "È una meschinità ma non ci fermiamo, la verità è ben altra", ha detto lo zio di Serena, Antonio. "Lo abbiamo sempre detto che eravamo innocenti", hanno urlato Franco e Marco Mottola. Intanto dopo 21 anni il cold case ciociaro resta ancora molto freddo.