Tutta l’America canta "Mammamia" E anche Jagger incorona i Maneskin

A Las Vegas la band romana apre il concerto dei Rolling Stones, fan impazziti. Il Maestro del rock: grazie ragazzi

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di Chiara Di Clemente

Mick Jagger li ha benedetti sul palco scandendo in italiano: "Grazie mille ragazzi!". Lo ha fatto l’altra sera a Las Vegas, alla fine dell’esibizione dei Maneskin, la giovane band che ha aperto da supporter il concerto dei Rolling Stones all’Allegiant Stadium. Fa impressione vederli nei video “rubati“ che girano sulla rete: non ci sono messinscene superkolossal, effetti speciali. Chi finora ha continuato a percepirli come fenomeno squisitamente tv (la nascita a X Factor, poi le vittorie a Sanremo e all’Eurovision, sempre in favore di telecamere) stavolta non può che restare zitto e buono: sul quel palco ci sono solo quattro ragazzi romani giovani e sostanzialmente nudi, nonostante gli abiti sensuali e aderenti tutti lustrini stelle e strisce e i chili di eyeliner; su quel palco – che qualche minuto dopo esploderà nella liturgia spettacolare inarrivabile delle divinità rock degli Stones – ci sono solo la loro musica e la loro fisicità. Solo e soltanto la loro personalità.

Damiano, 22 anni, leader del gruppo, canta in italiano e in inglese In nome del Padre, Beggin’, Mammamia, Victoria (21 anni) impugna il suo basso come un’imperatrice lo scettro del potere; Thomas (20 anni) fa danzare le unghie laccate di nero lungo le corde della Fender, Ethan (21 anni) – capelli lunghissimi e cascate di peli sotto le ascelle – è un colosso di bellezza e potenza. A fine show, Mick Jagger, 78 anni, mentre i tecnici sbaraccano, pronuncia il nome Maneskin, e quel suo ringraziamento che – forse – passerà alla storia della nostra musica pop.

La conquista degli Usa ad opera dei Maneskin è un fenomeno senza precedenti: tanti – alcuni – italiani hanno raggiunto quel mercato, ma l’hanno sempre fatto esportando lo specifico melodico (forse con l’unica eccezione della Pfm che suonò con Santana). Il melodico, del resto, è quello che quel mercato si aspetta da noi, da Volare in poi: se non proprio tarantella e putipù, quantomeno grandi voci, belcanto, cuore-ammmore. I Maneskin no, sfidano il rock nella terra del rock, gli Stones sul palco di Las Vegas degli Stones. E ce la fanno, e se la portano a casa, da vincenti, la sfida.

Lo hanno capito Mick Jagger o Iggy Pop, che ha duettato con loro. Qui in Italia, invece, vecchi e meno vecchi rocchettari del successo dei Maneskin non se ne capacitano: se gentili giudicano il loro rock un rock “in vitro“ (come se anche ai Beatles, all’inizio, non fosse stato chiesto di vestirsi in maniera più carina) oppure un rock troppo pop, ma è qui – liberato dall’implicito disprezzo moralistico – che si annida forse il senso del trionfo.

In Italia i Maneskin hanno riesumato il rock in anni – 2020, 2021 – in cui era fuori dal mainstream, dal grande mercato musicale leggero consumato dai più giovani (e l’unico mercato veramente vivo è quello dei giovani), dominato da rap o reggaeton; per farlo, lo hanno “poppizzato“, sì. Lo hanno portato a X Factor, a Sanremo, dentro corpi di grande bellezza, sexy e glamour. Del rock – in cui i Maneskin con sincerità si identificano – non hanno cambiato i codici musicali: ci sono le schitarrate, melodie sussurrate e impennate strumentali; ci sono le dolcezze e il climax, la rabbia e l’abbandono dell’amore e del sesso, ben mescolati tra loro, ciò che da sempre del rock è l’anima pulsante.

Ma c’è anche e soprattutto una sua reinterpretazione che lo rende l’incarnazione dello spirito di questo tempo. Il fascino o gli eccessi della droga, le pulsioni autodistruttive, gli abissi della disperazione – le altre “storiche“ anime del rock – vengono vissuti dalla Gen Z come drammatiche fors’anche inevitabili possibilità individuali, ma non come manifesti da sbandierare, o obiettivi di una rivoluzione. Per la Gen Z la rivoluzione da fare – socialmente – è “pulita“, gli ideali per cui battersi sono diffondere la necessità di portare rispetto verso gli altri, di amare e di amarsi (stare bene) nella più piena, libera e rispettosa autodeterminazione sessuale. A questo dà voce il rock – fluido pulito e amorevole – dei Maneskin. Fuori di testa, ma diversi da Mick.