Turni massacranti e stipendi bassi La fuga dei medici dagli ospedali

In tre anni 21mila camici bianchi sono andati via. E il Covid fa crescere la voglia di pensione anche tra i giovani

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di Claudia Marin

È corsa verso la pensione per i medici italiani. E se la demografia spiega la maxi-uscita dei nati negli anni ’50, con il raggiungimento dell’età massima, è la pandemia a fare da booster a quella che è diventata una maxi-fuga dal Servizio sanitario nazionale anche dei sanitari della generazione successiva. Perché, come spiega Roberto Monaco, il segretario generale della Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, "i medici, stremati, pensano di andare in pensione anticipata, anche i giovani, o di abbandonare il sistema sanitario pubblico per il privato, mentre i ragazzi vanno all’estero".

E così negli ultimi 3 anni, dal 2019 al 2021, si è registrato un vero esodo volontario di camici bianchi dagli ospedali italiani: secondo una ricerca del sindacato Anaao Assomed, hanno abbandonato l’ospedale 8.000 camici bianchi (2.886 solo nel 2021) per dimissioni volontarie e scadenza del contratto e 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità. In totale il Servizio sanitario nazionale ha perso complessivamente quasi 21mila medici specialisti. E le prospettive dei prossimi tre anni disegnano uno scenario altrettanto preoccupante.

Basti pensare che, secondo un’altra recente indagine della Fimmg, il sindacato dei medici di famiglia, da qui a tre anni, circa 15 milioni di italiani dovranno cercarsi un altro medico di famiglia e non è detto che lo troveranno. Fino al 2024 andrà in pensione il 31% di questi professionisti e fino al 2025 addirittura il 38%. E, sulla scorta delle previsioni dello stesso sindacato, almeno per i primi anni i nuovi giovani formati saranno troppo pochi per compensare le uscite: oltre 3,5 milioni di cittadini rischiano di restare senza un riferimento sanitario di base.

L’invecchiamento della generazione nata durante la Ricostruzione e il fenomeno della Great Resignation ("le grandi dimissioni"), che riguarda anche la sanità, avranno, insomma, un impatto senza precedenti sulla tenuta del Servizio sanitario nazionale. Ma quali sono le cause del malessere diffuso dei medici? A due anni dall’inizio della pandemia 15mila medici e odontoiatri sono colpiti dal fenomeno del burnout con vari disturbi e un terzo, potendo, andrebbe subito in pensione, in particolare i più giovani (il 25% dei medici tra i 25-34 anni e il 31% di quelli tra i 35-44 anni), secondo la rilevazione di un’indagine condotta dall’Istituto Piepoli per l’Ordine dei medici. Questo dato, commenta il presidente Fnomceo Filippo Anelli, "è choccante, stiamo uccidendo la speranza". Speranza che per la maggior parte dei sanitari si traduce in orari più flessibili, maggiore autonomia ma anche stipendi migliori.

Certo è che il quadro che emerge, avverte Carlo Palermo, di Anaoo Assomed, "lascia presagire il progressivo declino della sanità universalistica, per come la conosciamo. Si deve considerare, infatti, che il livello attuale delle uscite dei medici (pensionamenti più dimissioni volontarie) è tale da mettere seriamente in pericolo la tenuta del SSN visto che di fronte ad uscite di circa 7.000 medici specialisti ogni anno, l’attuale capacità formativa è intorno a 6.000 neo specialisti, di cui in base a nostri precedenti studi solo il 65% accetterebbe un contratto di lavoro con il Ssn". Dunque, "per evitare il disastro, è necessario procedere alla rapida stabilizzazione del precariato e serve un cambiamento radicale nella formazione post-laurea.

Non si sottrae alla denuncia il ministro della Salute, Roberto Speranza: "Il problema è come gestire i prossimi 2-3 anni e stiamo lavorando per trovare soluzioni immediate: su questo, penso anche a un utilizzo straordinario degli specializzandi, che abbiamo iniziato a fare ma che va rafforzato". L’obiettivo è arrivare a un nuovo tipo di contratto di formazione-lavoro con il Ssn degli specializzandi non solo degli ultimi due anni.