Turismo macabro nella villetta di Cogne

Aosta, la Franzoni protesta in tribunale per i furti nella casa dove fu ucciso Samuele: i ladri cercano souvenir. Stop alla vendita all’asta

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Cogne è lassù, dove l’ultima curva accompagna il fiume e spiana sull’ingresso del paese. Le stesse case, lo stesso silenzio di ogni inverno, lo stesso scenario affacciato sul Gran Paradiso, altissimo e maestoso, smaltato di ghiaccio perenne. E anche la bella baita di Montroz, teatro di un delitto lontano 19 anni, è sempre lì, senza voci e senza passi, adagiata sui ricordi e avvolta in un velo di mistero.

Annamaria Franzoni, protagonista di quell’alba di sangue, avrebbe forse voluto rivederla, o forse no, legata com’è, ai momenti lieti di quando in quello chalet mise su famiglia con Stefano Lorenzi, ma anche alla luce livida di quel gelido mattino, quando perse il figlio Samuele, 3 anni, e dove iniziò il suo lungo e tormentato viaggio giudiziario fino al carcere.

Ma il ritorno in Val D’Aosta, ieri, si è fermato nel capoluogo giusto per il tempo di confermare la querela contro una giornalista e un operatore tv accusati di violazione di domicilio dal finale in bilico tra la sentenza e l’accordo. Ma soprattutto, nell’aula che la vide in tanti passaggi dell’inchiesta sull’assassinio, ha voluto protestare contro l’incessante turismo macabro che spinge molti sconosciuti a entrare nella proprietà di Montroz a caccia di un oggetto ricordo.

Una lenta, incessante catena di ‘visite’ non nuova, avviata in giorni lontani sull’eco di un giallo dai toni sempre più sbiaditi, e da allora puntualmente proseguita in ogni stagione. Tra i souvenirs, un termometro, un sassolino dalla forma bizzarra, una scheggia metallica. Nel 2002, quando l’ombra di un fantasma a caccia di bambini da sopprimere vagava ancora nel buio sospetto tra le vie del paesino, con le voci, i dubbi, le certezze, le mezze verità, i silenzi e le parole, un discreto turismo di single, di giovani, di adulti e di intere famiglie saliva a Montroz per mettersi in posa con le spalle alla baita, e via con una raffica di clic fotografici meglio se, per gli obiettivi più sensibili, col magico sfondo del ghiacciaio del Gran Paradiso. E le cartoline? Esaurite quelle panoramiche nelle quali era individuabile lo chalet del delitto. Una freccetta con la penna sull’immagine, e sul retro, accanto ai saluti, la semplice scritta "è successo lì".

È vuota la baita, adesso. Vuota, pignorata e appesa a un progetto di vendita col primo appuntamento d’asta sospesa fino al prossimo 30 giugno con base d’offerta a 626 mila euro. Non è esclusa, però, una trattativa già in corso, per evitare la cessione, tra i coniugi Lorenzi e Carlo Taormina, ex difensore di Annamaria, che pretende un saldo via via montato fino a 450 mila euro. La custodia, in attesa di sviluppi, è affidata alla stessa Franzoni che proprio in questa veste ha voluto riportare in primo piano lo squallido andirivieni dei cacciatori di souvenirs.