Venerdì 19 Aprile 2024

Tu vuo’ fa’ la pizza americana? Bocciato

Nino

Femiani

Alzi la mano chi ama la pizza con l’ananas. Dopo sette anni di tenaci tentativi di esportare il gusto made in Usa, Domino’s Pizza Italia chiude i battenti e torna in Michigan. Esperimento fallito. I furbi americani che hanno fatto business in patria con Pizza Hut, Sbarro e Domino mistificandolo con slogan come: "Questo è il tempio della pizza italiana", sono stati rimbalzati con danni. Il gusto yankee non ci piace, la Pepperoni Passion e la Hawaiana ve la mangiate voi negli States, è il messaggio. Qui in Italia la pizza dop è quella che ha il disciplinare più rigoroso al mondo e i suoi sacerdoti si chiamano Franco Pepe, Gino Sorbillo, Enzo Coccia, Ciro Salvo e Ciro Oliva. E se Briatore cerca di espugnare il sacro tempio (mantenendosi però all’interno della tradizione) ecco che il dream team della pizza made in Naples difende ogni millimetro meglio di Davy Crockett e William Barret Travis nella battaglia di Alamo. Figurarsi di fronte alla "deep dish pizza" che somiglia più a una torta che a una margherita, o alla "California style" che si condisce non con San Marzano e neppure con datterino della piana del Sele, ma con ‘pummarola schiattata’ e fette di avocado. La fine è nota, avrebbe detto Geoffrey Holiday Hall.

È puerile per il ceo di Domino gettare ora la croce sulla pandemia e su clienti troppo esigenti. La verità è che ha tentato di vincere in trasferta con il gioco che praticava oltreoceano, ma ha incassato una sconfitta peggiore di quella degli azzurri con la Macedonia del nord. "Tu vuo’ fa’ l’americano", cantava Renato Carosone. "Sient’ a mme, nun ce sta niente ‘a fa’, ok, napulitan". È questo il punto: la pizza napoletana era e resta quella, un simbolo identificativo, la bandiera di una nazione sotto cui ci ripariamo anche quando c’è tempesta, e soprattutto un rito gastronomico in cui tutti ci riconosciamo.