Roma, 8 maggio 2025 – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, si è congratulato con il cardinale Prevost per la sua elezione a Papa, esprimendo entusiasmo per l'elezione di un americano a questa carica e il desiderio di incontrare presto il nuovo leader cattolico. "Congratulazioni al cardinale Robert Francis Prevost, appena nominato Papa. È un grande onore sapere che è il primo Papa americano. Che emozione, e che grande onore per il nostro Paese", ha scritto, "Non vedo l'ora di incontrare Papa Leone XIV. Sarà un momento molto significativo!". Prevost è stato eletto il secondo giorno del Conclave.

Il rapporto tra il nuovo Papa e Trump
Prevost non ha un rapporto diretto con Donald Trump. Nei giorni scorsi il presidente ha pubblicato sui profili social ufficiali della Casa Bianca una sua immagine generata con l'AI nei panni del nuovo papa. Questo, e non solo, aveva fatto scommettere molti osservatori che le chances per un papa statunitense erano crollate: gli Stati Uniti con il loro strapotere politico ed economico non possono esprimere anche il capo della chiesa cattolica. Il collegio cardinalizio ha invece sorpreso (quasi) tutti.
Il rapporto tra il nuovo Papa Leone XIV e i conservatori cattolici americani è complesso e sfumato. Non si può definire Prevost un rappresentante diretto del mondo conservatore statunitense, ma nemmeno un oppositore. La sua posizione è stata descritta come quella di un moderato, capace di tenere insieme sensibilità diverse nella Chiesa. Padre Michele Falcone, suo confratello agostiniano, lo descrive come "un dignitoso uomo di centro".
Lontano da dinamiche dell’episcopato statunitense
Nato a Chicago e cresciuto nel contesto cattolico statunitense, Prevost non ha costruito la sua carriera ecclesiastica negli Stati Uniti. Poliglotta, ha vissuto e lavorato per decenni in Perù (è diventato anche cittadino peruviano) e poi a Roma, dove è stato Prefetto del Dicastero per i Vescovi. Questo lo ha tenuto relativamente distante dalle dinamiche più polarizzate dell'episcopato americano, spesso diviso tra un'ala molto conservatrice, oggi allineata al presidente Trump, e una più vicina alla visione pastorale di papa Francesco.
In linea con gli Usa su omosessuali e “famiglie alternative”
I conservatori cattolici americani – come il cardinale Raymond Burke, l'arcivescovo Joseph Strickland (rimosso da Francesco), o alcuni media influenti come 'The National Catholic Register' o 'LifeSiteNews' –hanno criticato negli anni molte riforme di Papa Francesco. Prevost, pur nominato da Bergoglio e parte della sua squadra, è stato visto con meno sospetto di altri collaboratori del pontefice argentino. Questo per via del suo stile sobrio, della sua attenzione alla dottrina e del suo rispetto per la liturgia tradizionale, anche se non si è mai schierato con l'ala reazionaria. Dal punto di vista dottrinale, Prevost ha mostrato una certa rigidità su temi sensibili. Se Papa Francesco pronunciò il celebre ''Chi sono io per giudicare?'' parlando degli omosessuali, Prevost ha espresso preoccupazione per l'influenza dei media occidentali sulla cultura cattolica, parlando in passato di ''stili di vita omosessuali'' e di ''famiglie alternative'' in termini critici. In Perù, si oppose all'introduzione di corsi sul genere nelle scuole, definendo la cosiddetta "ideologia di genere" come creatrice di confusione e "di generi inesistenti". Elementi in linea con l'attuale amministrazione americana.
Ruolo chiave nella selezione dei vescovi americani
Prevost ha avuto un ruolo chiave nella selezione di nuovi vescovi, anche negli Stati Uniti. Ha continuato la linea di papa Francesco nella scelta di pastori più attenti alla cura delle persone che non alla battaglia politica. Eppure, la sua discrezione e la sua formazione agostiniana lo hanno reso un interlocutore più accettabile anche per ambienti conservatori, che lo hanno visto come meno "ideologico" rispetto ad altri nomi della curia romana. Nei giorni precedenti il conclave, diversi osservatori hanno sottolineato come Prevost fosse tra i candidati "di compromesso": non troppo vicino all'ala liberal, né espressione del blocco conservatore nordamericano. In un articolo del 'New York Times' pubblicato il 2 maggio, si legge che il suo nome era tra quelli considerati capaci di "unificare" e di essere accettati anche dai cardinali statunitensi più tradizionalisti, pur non essendone un esponente diretto. La combinazione di internazionalismo, moderazione dottrinale, esperienza di governo e prudenza personale lo rendeva un papabile inaspettato.