"Troppi morti, non c’era più tempo". Palù difende l’ok ai monoclonali

Il presidente dell’Aifa: "Grazie alle cure con i cocktail di anticorpi avremo meno ricoveri in terapia intensiva"

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"Paghiamo ogni giorno un tributo pesante in termini di vittime della pandemia, non c’era tempo da perdere". Proprio il fattore tempo ha giocato un ruolo decisivo nel via libera agli anticorpi monoclonali nei Covid-19. In attesa che le vaccinazioni producano la tanto agognata immunità di gregge, questi antidoti da mille-duemila dollari a cranio potranno farci risparmiare milioni di euro di costi per ricoveri in terapia intensiva. Giorgio Palù, virologo presidente dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, ha vinto il braccio di ferro.

Professor Palù, finalmente si sono superate le resistenze all’impiego degli antivirali targati Eli Lilly e Regeneron. Come ci siete arrivati?

"Mi sono battuto per questo, anche prima di entrare in Aifa. Indubbiamente c’erano motivi di riflessione che prolungavano i tempi. Teniamo presente che l’Agenzia europea dei medicinali, Ema, deve ancora esprimersi nel merito. Negli Stati Uniti però la Fda aveva validato l’uso degli anticorpi monoclonali in condizioni emergenziali. Parliamo di un cocktail di molecole, come li definiva la stampa anglosassone. Si rivelarono preziosi come terapia, valga per tutti l’esempio degli antivirali adoperati nel caso clinico di Donald Trump".

Che cosa è cambiato da allora?

"Sono scaturiti dati inoppugnabili. Dagli ultimi studi pubblicati su autorevoli riviste scientifiche si vede che questi anticorpi, prescritti quando si manifestano i sintomi all’esordio, prima che l’infezione progredisca, si rivelano un’arma potente in grado di abbattere la carica virale. Questo è nondimeno l’impiego che abbiamo previsto per pazienti ad alto rischio, con malattie croniche concomitanti e un’elevata probabilità che si instauri un quadro infiammatorio severo, sindrome che andrebbe a compromettere irrimediabilmente organi vitali".

L’industria era pronta col farmaco registrato già a novembre, eppure i lotti prodotti in Italia venivano destinati esclusivamente all’export. Possiamo dire che i passi avanti si sono avuti dopo il suo ingresso in Aifa ai primi di dicembre, fortemente auspicato dai rappresentanti delle Regioni?

"Io ce l’ho messa tutta, speravo che l’iter si concludesse rapidamente, a beneficio della collettività, e non spetta a me muovere critiche. Devo anzi dire di aver incontrato una grande sensibilità da parte del ministro Roberto Speranza, che mi ha supportato su questo fronte".

Le terapie neutralizzanti arriveranno così ai nostri ospedali, e in futuro potrebbero essere concesse a livello ambulatoriale e nel territorio. Intanto a Siena un team di giovani scienziati guidato da Rino Rappuoli sta elaborando una nuova generazione di anticorpi monoclonali contro il virus Sars-Cov-2 e le sue varianti. A che punto siamo con la ricerca internazionale?

"Questo è un tema che mi sta particolarmente a cuore. Abbiamo una dozzina di studi in corso sugli anticorpi monoclonali, un paio di questi sono attualmente in fase III, quindi avviati a conclusione. Con il via libera ai primi due anticorpi monoclonali, l’Italia oggi è al pari della Germania e di altre nazioni in questa nuova terapia".

Una volta rimossi gli ostacoli burocratici, per così dire, occorre finanziare l’acquisto del prodotto.

"Per gli anticorpi monoclonali si può prevedere un fondo straordinario come per i vaccini, facendo leva sul decreto legislativo 219 del 2006, che recepisce una direttiva europea del 2003. Si tratta di una procedura che venne sfruttata nel 2016 per l’emergenza Ebola, una crisi che fortunatamente non diede pandemia a differenza di Sars-Cov-2. Ed è la stessa normativa adottata dal ministro tedesco Jens Spahn e, a quanto sento, forse anche da Francia e Ungheria per l’uso emergenziale dei monoclonali".