Venerdì 19 Aprile 2024

Troppi giovani uccidono senza un perché

Valerio

Baroncini

Un coltello che s’infila nel polmone di un ragazzo e lo uccide – senza motivo – è uno squarcio in tutta la comunità, uno schizzo di sangue in faccia che, ora a una giusta distanza dagli eventi, ci impone di domandare: perché? Il delitto di Fabio, ammazzato a Castel del Rio in una notte senza vento fra i castagni, evoca quello di Chiara Gualzetti, massacrata un anno fa sotto gli alberi della Valsamoggia; e poi il delitto di Zocca; il tentato omicidio di Monghidoro; e ancora Reggio Emilia, Rimini... E’ una lista lunga di giovani morti senza un perché, e di giovani che uccidono di fatto senza un perché. Un libro bellissimo di qualche anno fa, ‘Il dolce domani’ di Russell Banks, indaga la tragica perdita di un gruppo di ragazzini in una piccola comunità, fissando questo perimetro che ritorna prepotente alla luce della cronaca: “Stabilire le ragioni è come stabilire le colpe: più ci si allontana da un’azione, più è difficile trovarne la causa in qualcosa di preciso“. Non è un caso che i delitti più efferati (Castel del Rio, Monteveglio, Valsamoggia) siano avvenuti nelle comunità più piccole dei nostri territori. Una comunità ha bisogno dei suoi bambini e dei suoi ragazzi, come una famiglia: senza di loro l’equilibrio va in pezzi e questo accade ancora di più dove i rapporti sono stretti, serrati, dove il disagio esplode improvviso (perché spesso è dove ci sentiamo più sicuri che non vediamo) e – giocoforza – con una veemenza pantagruelica. Il web ha scarnificato l’individuo. Nelle comunità strette, piccole o troppo rigide, il web diventa a volte un canale di uscita. Ma virtuale, non reale. Questo perché il web ha tolto all’individuo i sensori che gli rendevano percepibili gli altri. A volte, anzi, relazionarsi con gli altri diventa un disturbo. In questo modo le azioni assumono traiettorie oblique, inattese. Ed è troppo facile scaricare tutto sulla famiglia in senso tradizionale. Quello che può finire sotto accusa è semmai la famiglia-comunità, siamo tutti noi. Iniziare a porci la domanda – perché? – serve in un’ottica globale, non individuale.