Mercoledì 24 Aprile 2024

Tristi, solitari e in lockdown Gli altri a distanza di gomito

Migration

di Viviana Ponchia

L’album dei ricordi di due anni di Covid ci ricorda quanto siamo cambiati in un tempo relativamente breve. Noi, il nostro stare al mondo, la capacità di fronteggiare l’impensabile. Anche il vocabolario, perché tutto comincia con una parola. La prima non fu luce. Fu Wuhan. Poi venne il paziente zero, con la consapevolezza di essere tutti materiale da disastro televisivo. La magra consolazione, per una volta, era di vivere una tragedia di grande portata e non un fallimento personale.

Naviganti sperduti in salotto, blindati nelle case chiamate a farci da seconda pelle, ci siamo messi a contare i giorni, i contagi, l’indice Rt. Abbiamo imparato in fretta tante cose. Che le penne rigate sono le prime a sparire dagli scaffali, l’amuchina può diventare bene di prima necessità e il domicilio coatto ha i suoi vantaggi: nessuno, per mesi, è stato sorpreso con il cellulare scarico.

Ci siamo trovati in bocca lockdown, cluster, drive through, droplet, dad, infodemia, booster, FFp2. E in un cassetto il saturimetro, quando prima era già tanto pescare un termometro.

Il paracetamolo è diventato l’amuleto contro il male, un cane il lasciapassare per temerarie incursioni attorno all’isolato.

Abbiamo rivalutato gli altri quando ci impedivano di vederli escogitando però trucchi per mantenerli a distanza con un tocco di gomito. Trasfigurato i nonni in figure fragili da proteggere anche da Babbo Natale. Ci hanno vietato le città, ci siamo presi Netflix. Abbiamo cantato sui balconi, aperto e chiuso scuole come passaggi a livello, mandato in tilt l’ultima generazione. Ci siamo vaccinati con diligenza e ammalati senza rispettare la fila. Il 20 febbraio del 2020 era un giovedì. Sembrava un giorno come tanti, non un capolinea.