Tragedia Lecco, Bongiorno: "Separarsi non è una colpa, basta alibi"

Giulia Bongiorno: smettiamola di ridimensionare la gravità della violenza. "Continua a esistere il pater familias che si crede padrone della vita e della morte"

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"Parlare, scrivere, titolare di un ‘dramma dei padri separati’ per inquadrare la tragedia di Lecco vuol dire concedere delle attenuanti a chi ha compiuto il gesto".

Giulia Bongiorno (ex ministra, senatrice e avvocato penalista, impegnata contro la violenza sulle donne), cosa significa ‘concedere attenuanti’?

"Significa ridimensionare la gravità di quello che è accaduto. Il messaggio che è venuto fuori è che una parte della responsabilità non è dell’uomo che ha ucciso i figli ma della separazione conflittuale e forse anche della donna che probabilmente ha voluto la separazione. Aggiungo che non si sa ancora nulla e quindi esaltare il dato della conflittualità è comunque sbagliato. Devo dire, comunque, che davanti ad una persona che si toglie la vita, il mio primo impulso sarebbe stato quello di rimanere in silenzio, ma vista la piega che ha preso il racconto di questo episodio, ho preferito intervenire nel dibattito".

Per togliere ogni alibi ad una comunicazione distorta, come inquadra la figura di questo padre che ad un certo punto ha deciso di ‘vendicarsi’ della volontà della moglie di volersi separare?

"Siamo davanti alla figura classica di un ‘pater familias’, un uomo ‘padrone’ della vita e della morte dei suoi familiari, una figura che viene da molto lontano. Ricordiamoci sempre che la violenza contro le donne è aiutata da secoli di legislazione maschilista. Basterebbe ricordare lo ius corrigendi, ovvero l’esercizio del diritto di violenza per correggere la moglie considerata un essere inferiore all’uomo. E dalle prime notizie del caso sembra emergere un uomo che ritiene di avere il potere di punire la moglie uccidendo i figli. Ed è – questa – una mentalità che va contrastata con la consapevolezza che non è facile combattere un modo di pensare che è stato agevolato da legislazione declinata al maschile; non scordiamoci che il delitto d’onore è stato abolito nell’81, che per me è solamente ieri...".

Eppure si sente spesso ripetere che il problema della parità di genere è ormai superato.

"Il problema c’è eccome. E lo si vede anche in episodi di comunicazione distorta come quello di cui stiamo parlando. O come quando si dice che ‘bisogna stare attenti al contesto’ dell’accaduto. Credo che le prossime settimane saranno molto importanti per capire la dinamica di quanto accaduto. So che è stato sequestrato il computer di Bressi e ci saranno le autopsie dei due bambini; da quello che emergerà, capiremo in che termini il delitto è stato premeditato".

Quali altri ‘errori’ di comunicazione potrebbero essere commessi proseguendo a raccontare questa storia?

"Spero di non leggere che l’uomo è stato ’preda di un raptus’, oppure ‘vittima di un momento di follia’. Anche in questo caso si tratterebbe di attenuanti; troppe volte si giustifica la violenza parlando di follia. Dalle prime notizie sembra emergere lucidità. Ma attendiamo le indagini per valutare. Attenzione, poi, a non pensare a questo delitto dicendo ‘a me non capiterà mai’ perché il mio compagno è diverso; sono le persone che appaiono le più equilibrate a rendersi colpevoli dei peggiori delitti".

Ultima domanda: lei è un avvocato penalista. Se Bressi non si fosse tolto la vita e le avesse chiesto di difenderlo, avrebbe accettato la sua difesa?

"Tutti hanno diritto ad una difesa. Poi però credo anche che un avvocato prima di decidere se assumere una difesa deve fare delle scelte. Non mi sembra corretto però dire cosa avrei scelto".