di Alessandro Farruggia La defizione più fulminante fu data anni fa al Foglio dal professor Tullio Padovani, professore di Diritto penale all’Università Sant’Anna di Pisa: "Il reato di traffico di influenze illecite è come la corazzata Potemkin del film di Fantozzi, una boiata pazzesca: la si può girare come si vuole, ma alla fine i conti non tornano, perché è costruito sul nulla". La recente approvazione alla Camera della legge che regolamenta le attività di lobbying, che ora passa al Senato, potrebbero però cambiare le cose. Ma andiamo per ordine. "Già nella formulazione del 2012 voluta dalla Severino – osserva il professor Pier Luigi Petrillo, docente di teoria e tecnica della lobby alla Luiss e ordinario di diritto alla Sapienza – l’ipotesi di reato era vaga e indefinita. Nel 2019, con la riforma Bonafede, si sono uniti il traffico di influenze e il millantato credito e il quadro è diventato ancora più confuso". Andiamo bene. "Il reato – spiega il docente – si configura quando qualcuno, indebitamente, sfruttando delle relazioni, pone in essere una mediazione illecita. Ma che vuol dire? Quando è che l’attività è indebita e quando è che la mediazione è illecita? Non si sa. E infatti c’è stata una sola condanna!" "Che ci fosse un problema di fondo – osserva Petrillo – fu chiaro da subito. La legge è del 2012 e già a novembre la Cassazione disse che la legge era inapplicabile perché era troppo fumosa. E così il traffico illecito è oggi solo un grimaldello per attivare strumenti di indagine che altrimenti non si potrebbero applicare. Ma questo non va bene. Due sono le ipotesi: o abroghi la fattispecie oppure approvi il prima possibile una legge sulle lobby che ci conserta di dire cosa è lecito o cosa no. E io sono per la seconda". Dopo ...
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